mercoledì 6 giugno 2018
Il professor Giuseppe Conte, premier compassato e quintessenza del populismo militante. Jekyll e Hyde in condominio negli stessi abiti eleganti di un composto signore di mezza età che dissimula alla perfezione una doppia natura.
Discorso lungo, noioso, totalmente avvolto nell’indeterminatezza dei numeri che non c’erano, quello di ieri al Senato. Giuseppe Conte, da bravo insegnante che parla ai suoi discenti-senatori, si è limitato a spiegare con parole proprie il programma che gli studenti dovranno imparare. Il libro di testo adottato è il “Contratto di governo”. Conte ne ha elencato punto per punto il contenuto, seppure con qualche salto di memoria. Parole come Euro, Legge Fornero, scuola, cultura, patria, sono state omesse dalla narrazione. Qualcuna è stata recuperata nella replica finale. Qualcun’altra no. Scelta volontaria o semplice amnesia? Lo sapremo presto.
Il “professore” non ha ceduto all’improvvisazione. Ha precisato il metodo di lavoro. Tipico dell’accademico: prima di dirti ciò che farò, ti spiego come lo farò. Ascolto-esecuzione-controllo: questo il triplice fondamento dell’azione di governo. Poi lo sciorinamento delle promesse contrattuali. Non è mancato niente. Anche la più che scontata approvazione della fiducia è andata meglio del previsto visto che i 171 voti favorevoli sono più della somma dei senatori leghisti e grillini messi insieme. Sarebbe stata una giornata pallida se non fosse stato per quel qualcosa in più che non era in programma, per quelle parole dal sen fuggite di un Conte/Jekyll che d’improvviso si trasforma in Mr. Hyde. Non ci riferiamo al suo indulgere sulla tutela dei consumatori e sulle azioni che possono essere messe in campo a loro difesa, come la Class Action. Codici etici, norme sui diritti degli utenti e Responsabilità sociale d’Impresa sono il pane quotidiano del docente d’Istituzioni di Diritto Privato. Era ovvio che ne parlasse con un po’ di calore in più. Ha spiazzato la rivendicazione del suo essere orgogliosamente populista. Da un compunto professore ben pettinato non ti aspetti un’uscita dinamitarda. E, invece, l’ha detta proprio così: “ Se populismo è l’attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente – prendo spunto da riflessioni di Dostoevskij tratte dalle pagine di Puskin – se “anti-sistema” significa mirare a introdurre un nuovo sistema, che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene queste forze politiche meritano entrambe queste qualificazioni”. Ma non doveva essere il cane di paglia lasciato a guardia del fortino governativo? Conte si fa ideologo, delinea una visione e lascia indietro i dioscuri Luigi Di Maio e Matteo Salvini ancora in lite con i curricula scolastici. Cita Fëdor Dostoevskij che commemora Puskin, il poeta del popolo russo per mettere cappello sulla critica che il grande scrittore moscovita muove alle élite e alle oligarchie del potere del suo tempo.
Nella tarda primavera romana un impettito esperto di cose giuridiche si appropria della severa condanna all’uomo orgoglioso che non sa essere umile per affrontare la soluzione del problema della verità popolare e dell’intelligenza del popolo che due grandi della letteratura russa rivolgono al mondo che li ospita. Come se le rumorose strade romane fossero d’incanto divenute sentieri dell’assolata campagna di un Evgenij Onegin, giunto da San Pietroburgo appena in tempo per la mietitura. D’improvviso alcune affermazioni, inizialmente apparse retoriche e prive di costrutto, si vestono di nuova luce. “Sarò l’avvocato di tutti gli italiani” aveva detto Conte forse pensando, sulle orme di Puskin, d’incarnare l’ideal-tipo dell’avvocato che si fa cuore e sangue del suo popolo. Attento, Conte! Strada sdrucciolevole quella scelta. Perché, se saltano tutte le mediazioni previste dagli impianti statuali a matrice liberale e parlamentare, se si annullano le differenze tra destra e sinistra in nome di una riassunzione assolutista dell’idea di popolo, se l’orizzonte di senso della comunità non è più la democrazia declinata attraverso i suoi istituti, accade che dietro gli avvocati del popolo compaiono i giudici del popolo nei tribunali del popolo. E si ritorna alla Rivoluzione francese, a Rousseau e a Robespierre, cioè a seme e pianta dell’autoritarismo.
Ci saremmo aspettati una levata di scudi dell’informazione su questo passaggio nodale del discorso. Invece, al solito i media hanno preferito il gossip. “Conte ha copiato la citazione da un discorso del francese Emmanuel Macron. Parola della corrispondente parigina del The Atlantic, Rachel Donadio”. Direbbe il mitico Vittorio Sgarbi: “Capre! Almeno informatevi prima di scrivere”.
Chi ha barato nel citare Dovstoevskij è stato Macron, non Conte. Il parvenu francese, per stare sullo stesso piano di Vladimir Putin che lo ospitava in un incontro ufficiale ha detto testualmente “Io sono convinto che i nostri due Paesi abbiano vocazione e interesse a definire, per riprendere le parole di Dostoevskij delle quali parlavamo poco fa nel suo discorso su Puškin, un vero terreno di conciliazione per tutte le contraddizioni europee”. Ma il grande scrittore russo nell’orazione pronunciata l’8 giugno alla seduta solenne della “Società degli Amici della Letteratura russa” a Mosca in occasione dell’inaugurazione del monumento a Puskin aveva testualmente affermato: “I futuri russi comprenderanno... che diventare un vero russo significherà precisamente aspirare alla definitiva riconciliazione delle contraddizioni europee, mostrare la via di uscita alla tristezza europea...”.
Come direbbe Antonio Di Pietro: che c’azzeccano i francesi? Ma si sa la pseudo cultura nostrana ama abbeverarsi alle fake news altrui, soprattutto se arrivano d’oltralpe. Ci si preoccupi piuttosto di dove vada a parare il populismo del nuovo inquilino di Palazzo di Chigi invece che dire stupidaggini su qualcosa che non si è preso neanche la briga di leggere.
di Cristofaro Sola