lunedì 28 maggio 2018
Il presidente Sergio Mattarella ha respinto i diktat della coalizione giallo-verde. Il capo dello Stato ha immolato se stesso per difendere la Costituzione. Per garantire la democrazia italiana e proteggere, realmente, la sovranità popolare. Già. Perché il garante della Carta costituzionale rappresenta tutti gli italiani, non una discutibile e momentanea maggioranza.
Nella composizione della lista dei ministri, Mattarella ha esercitato le sue funzioni. Per questi motivi, non ha accettato l’imposizione di un unico nome: quello di Paolo Savona, indicato alla guida del ministero dell’Economia dai pentaleghisti. L’economista, attraverso libri e dichiarazioni, ha ipotizzato un delirante proposito: portare il nostro Paese a schiantarsi oltre i seicento punti di spread. Con la conseguente uscita dall’Unione europea. Savona ieri ha corretto il tiro, ma non ha smentito la sua linea antieuropeista. A questo proposito, Mattarella ha ricordato, nel suo discorso più sofferto, che “l’Italia è uno dei Paesi fondatori dell’Europa unita”. Il Presidente della Repubblica ha parlato in difesa del popolo e dei risparmi degli italiani. Un fatto è chiaro a tutti. Non è consentito un ritorno al passato autarchico.
Il nostro Paese rappresenta la terza economia europea. Dunque, l’uscita dal mercato comune comporterebbe un danno colossale non solo per gli italiani ma per l’intera Europa. La vecchia, cara e svalutata lira italiana sarebbe preda dei venti speculativi. Il nostro Paese vivrebbe una condizione greca. Con le lunghe file ai bancomat, oltre che ai forni, di manzoniana memoria. È forse questo il disegno del governo mai nato? Il sospetto, purtroppo, è molto forte. Ma, ormai, è chiaro a tutti, che la rabbia dei pentaleghisti si spieghi unicamente attraverso il colossale fallimento di un esecutivo contro natura, che si dichiarava fortemente “politico”, salvo consegnarsi ai “tecnici”. Lo dimostra la fine ingloriosa di Giuseppe Conte. Il quale, rimettendo il mandato da Presidente del Consiglio incaricato, è tornato dietro le quinte. Da “avvocato degli italiani” a mera comparsa. Ha ringraziato frettolosamente il capo dello Stato, ma, soprattutto, Matteo Salvini e Luigi Di Maio per averlo scelto. Poi, così com’è apparso sulla scena, s’è dileguato. In realtà, ha mostrato la sua vera e unica funzione: quella dell’esecutore di un spartito scritto da altri. Uno spartito che, con tutta evidenza, non aveva ben compreso.
Viviamo l’ora degli irresponsabili. Una delle più buie dell’Italia repubblicana. Chi invoca l’impeachment del presidente Mattarella sta giocando con le istituzioni. Desta meraviglia e preoccupazione l’atteggiamento di Giorgia Meloni. Una leader politica che ha sempre mostrato il senso dello Stato. È auspicabile un suo ravvedimento. Non sorprende affatto, invece, l’ennesima dimostrazione di inadeguatezza di Luigi Di Maio. Sono pochi i commentatori che lo hanno sottolineato. Ma, per il Movimento Cinque stelle, invocare la messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica, non è una novità. Si tratta, piuttosto, di un fatto del tutto ordinario. Proprio quattro anni orsono, infatti, i grillini hanno formalizzato una richiesta analoga nei confronti dell’allora presidente Giorgio Napolitano. In quel caso, è finita con un nulla di fatto. Ora, bisogna augurarsi che Matteo Salvini, passata la sbornia da delirio di onnipotenza, possa fare rinsavire anche gli altri compagni di ventura. Un fatto è certo. L’unica voce autorevole che si è levata contro gli irresponsabili è stata quella del presidente Silvio Berlusconi. Il quale, come sempre, si è comportato da statista. Il leader azzurro ha stigmatizzato giustamente il grottesco attacco al capo dello Stato e ha auspicato la difesa dei risparmiatori italiani.
In questa drammatica notte della Repubblica, carica di menzogne e di presagi funesti, i politici che mostrano serenità di giudizio e senso di responsabilità devono agire attraverso gli strumenti della ragione e della diplomazia, per scongiurare una pericolosa deriva autoritaria del nostro Paese.
di Giovanni Mauro