In morte del governo gialloblu

lunedì 28 maggio 2018


È finita malissimo. Il governo gialloblu Di Maio-Salvini si è spiaggiato sulla secca del Quirinale a un passo dall’approdo. Era tutto previsto? Quel tentativo di mettere l’Italia nelle mani dei populisti era soltanto una drammatica finzione? Il no ai due enfants terribles della politica nostrana sarebbe stato nei propositi reconditi del “Colle”. Sarà vero o no, comunque il Paese è stato gettato in una crisi i cui sbocchi sono imprevedibili. Colpa di Sergio Mattarella che ha gestito con sorprendente miopia la fase del dopo-4 marzo. Il pretesto per far abortire il tentativo gialloblu è stato il nome di Paolo Savona indicato da Matteo Salvini, con il pieno appoggio di Luigi Di Maio, al ministero dell’Economia. Lo ha ammesso lo stesso Presidente della Repubblica.

Per i poteri forti europei avere l’euro-critico Savona a Via XX Settembre sarebbe stato come nominare Dracula alla presidenza dell’Avis. Sulla scorta del richiamo di ingannevoli sirene, Mattarella ha stabilito, in via presuntiva, un nesso di causalità tra la nomina di Savona e il crollo della tenuta dei conti pubblici e del risparmio degli italiani, davvero oltraggioso nei riguardi di un vecchio e stimato signore che a detta dell’intera comunità accademica non è un pericoloso dinamitardo e conosce i mercati finanziari e la struttura dell’Unione europea meglio delle sue tasche. Ma sarebbe diventato indigesto a causa delle posizioni espresse sui propositi tedeschi, sui destini dell’euro e sul ruolo dell’Italia nel contesto dell’Unione europea. Una valutazione politica, dunque, quella di Mattarella, ancorché opinabile nel merito, che sfonda il perimetro tracciato dalla Carta costituzionale sui poteri e le prerogative del presidente della Repubblica in materia di formazione del governo e di scelta dei ministri. Una forzatura interpretativa che nella valutazione di alcune forze politiche, in particolare Cinque Stelle e Fratelli d’Italia, integrerebbe un comportamento delittuoso del capo dello Stato ai sensi dell’articolo 90 della Costituzione.

Francamente si esagera, anche se invocare l’impeachment di Mattarella potrebbe essere un eccellente argomento di campagna elettorale. Tuttavia, resta la sgradevole sensazione che il Quirinale, rifiutando di nominare Savona al dicastero chiave del nuovo governo, si sia piegato alle pressioni esercitate dalle cancellerie di altri Paesi interessati ad avere voce in capitolo negli affari interni italiani, dagli organismi di governance dell’Unione e da personaggi dell’establishment nostrano preoccupati soltanto di difendere la cadrega. Errore imperdonabile di Mattarella: così ha consentito che il professore Savona da eminente rappresentante di una corrente di pensiero economico-politica si trasformasse in un simbolo della resistenza italiana alle presunte aggressioni esterne e in una bandiera della critica radicale all’Unione europea da sventolare nel corso della campagna elettorale. Se si voleva regalare l’Italia al populismo non si poteva immaginare modo migliore di quello scelto dal Presidente della Repubblica. Il dibattito politico nei prossimi giorni si trasferirà dalle aule parlamentari alle piazze e non riguarderà più questo o quel programma d’interventi per migliorare la condizione dei cittadini ma si attesterà sulla linea del plebiscito per il recupero della piena sovranità nazionale.

Chi impedirà a Salvini e a Di Maio di raccontare una verità non confutabile dalla sequenza degli eventi registrati in queste ultime giornate? Dopo le aggressioni della stampa tedesca, che si è prodotta in insulti inenarrabili contro il popolo italiano definito fannullone, scroccone peggio dei mendicanti, dei governanti dell’eurozona che hanno lanciato allarmi a ripetizione sul rischio Italia se affidata ai populisti, dello spread che magicamente ha cominciato a lievitare per dare corpo alle peggiori paure delle famiglie e delle imprese, l’aver ceduto ponendo il veto sul nome di Savona è stato come aver firmato un atto di resa incondizionata a un ipotetico nemico. La campagna elettorale che si è aperta da ieri sera si focalizzerà sulla chiamata a raccolta del popolo contro le élite. Statene certi che il prossimo Parlamento darà il colpo d’occhio di un’immensa distesa gialloblu che avrà divorato lo spazio di un’opposizione di cui non si riesce neppure a individuare la sagoma. A quel punto Mattarella che farà? Sarà costretto a piegarsi alla volontà popolare se non vorrà trascinare il Paese nel caos.

Intanto, il presidente ha prontamente tirato fuori dal cilindro la carta Carlo Cottarelli per la formazione di un governo balneare che riporti gli italiani al voto il prossimo autunno. L’esperto di spending review assemblerà una squadra di tecnici che si impegneranno a dare una stretta ai conti pubblici. Il che si tradurrà in tagli ai servizi e maggiori tasse. Magari anche una patrimoniale mordi e fuggi, sfornata per decreto. Si dirà: ma il governo non avrà la fiducia del Parlamento. Vero, ma restando in carica per il disbrigo degli affari correnti nulla gli impedirebbe di fare cassa, anche in assenza dell’adeguata copertura del voto parlamentare. E sarà grasso che cola per le forze populiste, in campagna elettorale con il refrain: “O noi, il popolo, o loro, le élite”. Il fallimento del tentativo penta-leghista ha fatto sorridere qualcuno nel centrodestra che già pensa che adesso la Lega tornerà all’ovile, magari con la coda tra le gambe. Non ci si illuda perché dopo il braccio di ferro che Salvini ha condotto con grande abilità con il “Colle”, niente sarà più come prima. Neanche la coalizione di centrodestra.


di Cristofaro Sola