Campagna elettorale continua

giovedì 17 maggio 2018


Siamo alla stretta finale, ha detto Matteo Salvini con un prudente “quasi”. Dal canto suo Luigi Di Maio ha per l’ennesima volta twittato che il programma c’è. Il programma di governo, a parte il suo presidente. Intanto non se ne nasconde la fretta per la nascita del nuovo Esecutivo.

La fretta, dunque. Ma dopo oltre due mesi sembra a non pochi osservatori che la canzone della leggendaria Mina sia sempre d’attualità, soprattutto in politica, soprattutto in questa trattativa. Il punto è che alle parole non solo non seguono quasi mai i fatti da discutere ma le immagini compulsive, incessanti, onnipresenti dei due leader, insieme, meglio separati, tanto per sfruttare pro domo sua i primi piani manco fossimo a Hollywood.

Invece, correndo dietro a Luigi Di Maio, l’impietosa tivù ci offre l’impressione di una riunione condominiale dalla quale o verso la quale corre. In effetti una fretta c’è, eccome, e per entrambi. C’è da capirli, intendiamoci. Sono giovani e si faranno, come dicevano i nostri nonni, solo che nell’attesa sarebbe meglio per loro e per noi che, per dirla col nostro direttore, dal forno dei due uscisse finalmente qualcosa di commestibile, a parte il fatto (indubbio) che la buona volontà di Salvini è abbinata al suo pragmatismo che si nutre di esperienza (latitante in Di Maio), di prudenza, ma anche di rispetto di un’alleanza di centrodestra vincitrice delle elezioni il 4 marzo scorso.

L’impresa, non facile in sé, è tuttavia complicata non soltanto dal fatto che le due compagini sono reduci da un’elezione in cui si sono offerti come antitesi allo stato della cose politiche attuali, ma dalla constatazione che il contesto programmatico da enunciare coram populo è, almeno finora, assai confuso mancandogli un aspetto di fondo, ovverosia la proposta moderna. Per proposta si vorrebbe intendere l’uscita dalla dimaiana, ripetitiva enunciazione di slogan, ma un nuova progettualità nei confronti di un Paese che rischia di essere collocato fra le nazioni arretrate e in un contesto internazionale ostile. Del resto, l’insistenza monocorde e sistematica su problemi quali gli immigrati, il reddito di cittadinanza, la riduzione delle tasse non dovrebbero richiedere una rivoluzione di pensiero, un approccio di straordinaria progettualità quando basta un minimo, non un massimo di senso delle cose.

Il rischio è dunque di passare sopra, facendolo scambiare con un volare alto, alle autentiche incombenze italiane sottolineate, sia pure con qualche sospetto di interferenze, da personaggi non di secondo piano di Bruxelles a proposito di deficit, conti pubblici, sui quali, peraltro, gravano responsabilità primarie che non sono né dell’uno né dell’altro dei Dioscuri, semmai del dioscuro di Firenze, e non solo.

Ciò che tuttavia lascia non poche perplessità, al di là delle più o meno radicali proposte di referendum su Euro e Europa di quasi impossibile attuazione (e i grillini non possono non saperlo), è l’assenza di una proposta che si confronti con un futuro italiano che è già iniziato riguardante ad esempio, e semplifichiamo con l’ausilio di un’acuta riflessione di M. Feltri, il tema del lavoro, con le sue indubbie problematicità e urgenze. Proprio sul lavoro incombono sia la robotizzazione che l’intelligenza artificiale che annullano di certo dei posti di lavoro ma in un grande Paese come il nostro, la Germania che si robotizza, la disoccupazione viene ridotta e il reddito di cittadinanza non diminuisce, anzi.

Il futuro è adesso, anche in Italia. E chi vuole governare non può non saperlo e offrire piattaforme, moderne e coraggiose. La campagna elettorale è finita.


di Paolo Pillitteri