mercoledì 9 maggio 2018
È bizzarro che, nella stagione politica contrassegnata dal cambiamento, l’unica preoccupazione che assilla i protagonisti del momento sia cosa faccia o non faccia Berlusconi. Ma non dicevano che il “Cavaliere” era politicamente finito? Che avrebbe dovuto imboccare, come in un film noir di Billy Wilder, il viale del tramonto? Invece, siamo a oltre due mesi dall’ultimo voto che è stato un cataclisma elettorale e ancora ci si preoccupa di lui. E di Forza Italia. Non che la cosa dispiaccia perché è segno di un’incontrovertibile verità: non ci si libera con un’alzata di spalle del leader di milioni d’italiani. E poi si sa: i veti fanno scattare un riflesso di simpatia verso chi ne è colpito.
Nella partita della formazione del governo nessuno ha giocato pulito. Neanche l’alta carica al Quirinale. E lo diciamo con tutto il rispetto per la persona del presidente Sergio Mattarella. Il fatto che non abbia dato l’incarico a Matteo Salvini perché provasse a comporre una maggioranza in Parlamento è una macchia nel comportamento del capo dello Stato. Anche la giustificazione addotta a sostegno del rifiuto non sta in piedi. Mattarella, si è detto, non avrebbe consentito che un governo di parte, da sfiduciato, avesse il vantaggio di gestire la fase di preparazione della campagna elettorale. Ma è una gran balla. Perché, se avesse voluto, il presidente della Repubblica avrebbe potuto tranquillamente affidarsi a un governo neutrale dopo aver accertato, per fatti concludenti, che nessuna soluzione politica sarebbe stata percorribile.
D’altro canto, non glielo obbligava il medico di disporre in automatico lo scioglimento delle Camere una volta che l’incaricato Salvini, battuto alle Camere, fosse tornato al Quirinale per rassegnare l’incarico affidatogli. Quello che si prevede accadrà nelle prossime ore, cioè la nomina di un presidente del Consiglio che certamente andrà a sbattere contro il muro di “No” della maggioranza di deputati e senatori, sarebbe stato comprensibile posporlo di una settimana, dopo aver offerto una chance al centrodestra. Perciò sorge un sospetto: che i veti in circolazione posti da Luigi Di Maio contro Silvio Berlusconi, da Matteo Salvini contro il Partito Democratico e da Matteo Renzi contro tutti, non siano i soli? C’è n’è qualcun altro, probabilmente che viene da Bruxelles e dalle principali cancellerie europee di cui Mattarella si sarebbe fatto latore e interprete. E questo veto riguarderebbe Matteo Salvini. O meglio, la possibilità di vederlo insediato a Palazzo Chigi. Ci piacerebbe pensare che non sia così, che si tratti della solita fake news ispirata da fonti interessate.
Tuttavia, l’ostinazione del capo dello Stato nel rifiutare di considerare la richiesta della coalizione, che ha ottenuto il 37 per cento del consenso elettorale, appare sorprendente. Segno che si preferisce precipitare il Paese in una nuova campagna elettorale giocata al buio piuttosto che sperimentare un’opzione concreta. Qualcuno, probabilmente, conta su un cambiamento repentino di rotta degli italiani che intervenga a demolire ciò che è stato costruito pazientemente negli anni: l’unità del centrodestra. Sempre questo qualcuno evidentemente punterebbe a un risultato che premi i Cinque Stelle, ritenuti facilmente gestibili, e dia qualche voto in più alla Lega perché trovi la forza di mollare il suo alleato. Ma come tutti i conti fatti senza l’oste anch’esso rischia di finire in carta straccia. Basare le previsioni sul crollo di Forza Italia è un azzardo assoluto.
È vero, il 4 marzo per Berlusconi le cose sono andate male. Ma ciò non giustifica che gli si intoni il de profundis. Il Cavaliere ha perso, in particolare al Sud, perché ha sbagliato l’impostazione della campagna elettorale e perché ha ratificato liste di candidati di Forza Italia che non rispondevano alla domanda di rappresentanza dell’elettorato del centrodestra ma alle solite conventicole di cacicchi che si sentono, senza esserlo, padroni del territorio. Ci stava che i Cinque Stelle potessero vincere al Sud, ma non nelle dimensioni abnormi del 4 marzo. Il che porta a ritenere che il ritorno alle urne possa costituire per Berlusconi l’occasione per rimediare all’errore commesso in precedenza. La cronaca recente lo conferma.
Dopo la scoppola ci sono state le elezioni regionali del Molise e del Friuli-Venezia Giulia. Alle prime Forza Italia si è confermata primo partito della coalizione; alle seconde ha retto migliorando il dato raggiunto alle politiche. Qual è stato il fattore vincente? La presenza del vecchio leone di Arcore in pianta stabile in entrambe le regioni nei giorni prima del voto. Recuperare al Sud si può, a patto però che Berlusconi lasci perdere le comparsate televisive che ormai non hanno l’appeal di una volta e si tuffi tra la gente. Berlusconi ha la natura del combattente e può farcela a stare in campo stringendo mani, ascoltando storie, abbracciando i deboli e promettendo una speranza a chi gli si fa incontro. È questo il Berlusconi che la gente vuole e che le è mancato. Nulla impedisce che il tocco magico del creatore del centrodestra possa risorgere più efficace di prima. E a chi non vede l’ora di tornare a votare possiamo solo rammentare la storiella dei pifferi di montagna che andarono per suonare e furono suonati.
di Cristofaro Sola