Indifferentemente, di qua o di là

martedì 8 maggio 2018


No, non è una canzone di Totò questo “indifferentemente”. Magari si limitasse alle rimembranze musicalcanore dell’Italia del tempo che fu. L’avverbio in questione è qualcosa di peggio perché riguarda la politica: di oggi. Un esempio su tutti?

Ce lo indica il primatista (di presenze televisive, e non solo) Luigi Di Maio che, a nome del suo movimento, ha offerto al Paese del dopo elezioni (del dopo, non del prima, attenzione!) non uno ma due contratti per dir così politico-governativi. Col Partito Democratico, poi, respinto da una sorta di fin de non-recevoir, e poi con il centrodestra ma non nella sua interezza, come sappiamo, ma con un’esclusione ad personam della quale, il meno che si possa dire, è che rivela una sottospecie di malafede che, in una democrazia fondata sui partiti e/o movimenti, è peggio di un insulto: è un errore.

Ma tant’è, come si dice. Il punto in questione è dunque la contrattualità speciale offerta dai pentastellati dall’alto di un risultato elettorale, consistente fin che si vuole, ma niente affatto decisivo per una maggioranza di governo, tanto più che il Grillo che canta nei campi politici non modula mai rime per dir così binarie o trinarie, ovverossia con questo o quell’alleato, naturalmente per combinare un governo. Altrimenti, che canta a fare?

Peraltro, non si riesce a capire bene il senso e il significato di un contratto che sembra, a prima vista, cavalcare la massima politique d’abord se non fosse che il termine dovrebbe essere comunque enunciato al plurale proprio in virtù della sua duplicità che, uscita dalla dimensione univoca, ci obbliga a considerazioni preoccupate nel senso e nella misura con la quale anche la politique, ancorché d’abord, richiede per lo meno la fedeltà a un programma che, in quanto tale, dovrebbe essere diverso se non alternativo a quello degli altri partiti-movimenti.

Ci si perdoni l’ingenuità da Prima Repubblica (che vergogna…), ma se il nuovo che avanza col Di Maio-pensiero accoglie indifferentemente l’alleanza col centrodestra - sia pure depurata come vuole il duo Grillo-Casaleggio che comanda davvero nel solco del cosiddetto uno vale uno - e poi con il Pd renziano, peraltro gratificato degli epiteti fra i più roboanti dell’insultometro, da che parte stavano prima e stanno ora e soprattutto nel futuro quegli oltre trenta per cento di eletti in un Parlamento che dovrà bensì fare leggi, prima o poi, ma approvare programmi di questa o quella maggioranza di governo. A meno che per il nuovo che avanza si possa o addirittura si debba esser sia di qua che di là, con questi e con quelli, con la destra e la sinistra, col sottofondo dell’indimenticabile aria “questa o quella per me pari sono”.

Ma allora, perché votare? Che bisogno c’era? C’è? Il bello è che si andrà, più prima che poi, alle elezioni anticipate alla cui base sta anche questa indifferenza che, qualora fosse accolta, non può non condurre, a essere buoni, a una paralisi & instabilità governativa e a una elevata total suspicion a livello europeo data e concesso il rinnovato “No-Euro” di Beppe Grillo e le conseguenti risultanze a livello italiano, compreso il popolo del 30 e passa per cento.

Su questo sfondo si muovono le decisioni ad horas di Sergio Mattarella. Ma, come si dice in questi casi, le cose non cambiano e ha ragione il suggerimento del nostro Diaconale, che è anche un invito fra i più saggi: più che al governo pensare alle elezioni da parte di un centrodestra che, col suo 37,5 per cento ha o avrebbe più possibilità di un Grillo al suo 32,5, di raggiungere, con questa legge, quel quaranta per cento garante di una stabilità e di un programma di governo degni di questo nome. Altro che indifferenza!


di Paolo Pillitteri