Ancora castelli di carte

lunedì 7 maggio 2018


Dunque, con la lentezza di una lumaca Luigi Di Maio è arrivato alla conclusione, che personalmente consideravo ovvia già all’indomani del 4 marzo, di dover rinunciare alla poltrona di primo ministro nella trattativa per formare un governo con la Lega di Matteo Salvini. Su questa assurda pretesa, la quale se accettata avrebbe costretto il leader del Carroccio a frantumare il centrodestra, relegandolo al ruolo scomodissimo di junior partner di “Giggino ’o webmaster”, il Movimento 5 Stelle ha tenuto inchiodato il sistema politico per oltre due mesi. Ma sbagliando s’impara, come si suol dire. Di questo passo possiamo sperare che tra un paio di legislature il capo (per ora indiscusso) dei grillini abbia appreso almeno gli elementi basilari dell’agire politico, soprattutto quando si naviga al di fuori delle accoglienti acque dell’opposizione dura e pura.

Tuttavia, per quanto riguarda il che fare, come lo stesso Di Maio ha spiegato nel programma domenicale condotto da Lucia Annunziata su Rai 3, restiamo sempre all’interno di un, seppur ridotto, castello di carte programmatico, pronto a crollare al primo starnuto. In breve, il nostro giovin signore pentastellato ha gettato sul tappeto, a mo’ di dadi, tre punti su cui coinvolgere Salvini in un Esecutivo politico guidato da una figura terza: reddito di cittadinanza, abolizione delle Legge Fornero e una legge seria anticorruzione.

Ora, a prescindere dalla incombente quisquilia delle cosiddette clausole di salvaguardia, per il cui disinnesco occorrerà reperire oltre 15 miliardi di euro nel 2018 e circa 20 l’anno successivo, vorrei segnalare al buon Di Maio, definito da Beppe Grillo un vero genio, che la campagna elettorale è finita da un pezzo. Per questo motivo raccontare al popolo favole irrealizzabili nel tentativo di entrare nella stanza dei bottoni rappresenta un esercizio assai rischioso sul piano del consenso. Non ci vuole un luminare della finanza per comprendere la totale impossibilità di mettere in pratica nemmeno in parte il micidiale combinato disposto costituito dal reddito di cittadinanza e dalla cancellazione tout court della tanto bistrattata riforma Fornero sulle pensioni, a meno di non mandare rapidamente all’aria i conti dello Stato.

E tutto questo, a dispetto della sua ostentata sicumera di uomo determinato, lo dovrebbe ben sapere anche Matteo Salvini. Proprio considerando che tra il dire elettorale e l’avere a che fare coi numeri concreti di un governo ci passa un oceano, io dubito fortemente che il successore di Umberto Bossi e Bobo Maroni voglia correre il rischio di sfidare il principio di realtà collaborando con Di Maio nella costruzione del summenzionato castello di carte programmatico.

Quando la politica si svolge nel campo degli illusionismi e dei giochi di prestigio, chi amministra, come dimostra il caso eclatante di Matteo Renzi, perde sempre. Soprattutto quando le prospettive di durata della legislatura sono molto scarse, chi si è specializzato nel parlare in modo convincente alla pancia della gente preferirebbe restare fermo un altro giro, rafforzarsi e aspettare tempi più propizi. Bruciarsi insieme a Di Maio nel giro di pochi mesi sarebbe un rischio troppo alto per un uomo scaltro come Salvini, anche se oramai ci aspettiamo di tutto in questo Paese di santi, eroi, navigatori e venditori di fumo a buon mercato.


di Claudio Romiti