Democrazia e M5S: un capolavoro

martedì 10 aprile 2018


Tanto tempo fa, in Francia, si usava esclamare: com’era bella la Repubblica ai tempi dell’Impero! Allo stesso modo oggi, mutatis mutandis (un po’), verrebbe voglia di dire: com’era bella la democrazia ai tempi berlusconiani (e non solo)!

Intendiamoci, stiamo oggi parlando ai tempi del grillismo a gogo e del casaleggismo un tanto al chilo, entrambi simbolo di quella democrazia che di più non si può. Già, dimenticavamo (che sbaglio!) la leggendaria associazione Rousseau, per cui varrebbe proprio la pena di dire: un nome, un marchio, una garanzia! Ma di che?

Sì, perché guardando un minimo e non un massimo dentro questa propaggine politico-filosofica del ragionamento di Davide Casaleggio, va intanto rilevato che tutto o quasi deve essere deciso per l’appunto da Rousseau, perciò le discussioni dovrebbero essere chiuse al cospetto di tanto nome. Chiuse, soprattutto. Ma come si fa a discutere all’interno di un’associazione che, grazie all’apporto (durato un giorno) di due legali di Casaleggio, è stato deciso che il o la Rousseau e la figura del presidente, amministratore e tesoriere, è incarnata dal suddetto Casaleggio, che si deve occupare (statutariamente, si capisce) sia dell’ordinaria che della straordinaria amministrazione: lui e solo lui. Un unicum. Un compito davvero arduo e, diciamolo pure, un po’ pesante per le spalle di uno solo. È dura, ma è così.

Intendiamoci, noi tutti siamo per la democrazia che decide e non per quella che discute all’infinito. Siamo per quella forma di partecipazione, in politica ma non solo, che è tanto più necessaria quanto meno i suoi partecipanti perdono il tempo in disquisizioni, sotterfugi verbali, vuoti eloqui rotti da inneggiamenti alla libertà. È o sarebbe più il tempo perso nel disquisire del sesso degli angeli che nell’assumere impegni per poi realizzarli. Su questo non ci può essere dubbio alcuno.

Ma, domandiamocelo, di quale partecipazione, di quale democrazia, di quale libertà, di quali discussioni, se a gestirle e a deciderne le cosiddette conclusioni è una persona sola? E ce lo domandiamo non per il gusto di criticare a tutti costi queste ultime, ma non nuove, notizie da parte di colui che regge, praticamente in tutti i sensi, l’avventura dei Cinque Stelle; ma, semmai, per cercarne un filo logico conduttore che si richiami all’essenza e ai compiti di ciò che chiamiamo politica.

Il punto è che parlare di filo logico riferito alla politica, soprattutto se politicante, è una pretesa vana e, molto probabilmente, inutile sol che si pensi che a sentire non pochi studiosi, anche autorevoli, la politica è o dovrebbe essere l’arte del possibile. Ma, nel caso di cui sopra, siamo bensì nel campo dell’arte, ma dell’impossibile, o per lo meno di rendere possibile – sempre e comunque di arte trattasi – ciò che è o sarebbe persino impensabile pensare e attuare nel solco praticamente millenario di ciò che serve a gestire una comunità, un ensemble, una patria, una polis. La politica, appunto.

In questo senso il titolo più giusto, più meritato, più logico e, a ben vedere, più spettacolare di cui dovrebbe fregiarsi il capo supremo (e unico) di Rousseau, è di artista la cui attività e funzione richiede un senso profondo dell’arte da applicarsi fin da subito nei confronti dei cosiddetti interna corporis pentastellati e, contemporaneamente, di noi tutti, spettatori e, se vogliamo, elettori. Ma sarebbe meglio parlare di osservatori il cui interesse, come nel caso nostro, è di comprendere come e qualmente un movimento nato dalle urla del “vaffa”, dalle invettive più grevi, dagli insulti erga omnes, dalla volgarità più truce al servizio della demolizione e liquidazione per dir così morale ancor prima che politica dei nemici, cioè tutti gli altri, possa avere oggi un consenso che supera il trenta per cento e in base al quale si chieda, va detto non del tutto impropriamente, da un giovin signore pentastellato come Luigi Di Maio, il governo del Paese con se stesso Premier. Che aggiunge: siamo i primi, i più votati, dobbiamo governare. Il ragionamento fila o dovrebbe filare, tanto più da parte di chi, ironia della sorte, voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e si trova con un risultato elettorale praticamente doppio rispetto a quello di Matteo Salvini. Il quale, comunque, ha più titoli per pretendere Palazzo Chigi capeggiando una coalizione più ampia del risultato del M5S e comunque in linea con la nostra Costituzione.

Ma che possiamo farci. Loro, i pentastellati, sono fatti così: a uso e consumo, più che del risultato niente affatto da sottovalutare, dei dettami più nobili e più profondi della mitica piattaforma Rousseau, che tutto può e tutto chiede in nome, appunto, della democrazia più alta, più vera, più autentica. E, soprattutto, unica. Di uno solo. Come direbbe il grande Leonardo Sciascia: hanno fatto un capolavoro!


di Paolo Pillitteri