mercoledì 4 aprile 2018
È necessario sgombrare il campo dagli equivoci: il Movimento Cinque Stelle non è – come spesso si sente dire in televisione – una forza antisistema ma, anzi, è esso stesso il sistema. È la più evidente espressione del nostro sistema ed è egemone rispetto al potere dominante.
I pentastellati sono nati nel 2009 come risposta del sistema all’insoddisfazione dilagante aprendo così, fin da quel momento di quasi dieci anni fa, una stagione nuova rispetto al quindicennio precedente. Insomma, che il M5S fosse il socio di maggioranza della partitocrazia italiana era già evidente nel 2013, cioè da quando il Movimento è diventato, fin dalle elezioni politiche di cinque anni fa, il primo partito del nostro Paese. Anche se ha svolto un ruolo d’opposizione al governo. Ma il sistema è garantito sia dalle forze che sostengono l’Esecutivo, sia dalle forze d’opposizione che agiscono dentro il recinto del Palazzo e del Potere.
Ancor di più possiamo affermare che i “grillini” sono, oggi, i massimi rappresentanti dell’attuale sistema di potere con oltre il 32 per cento dei voti. Inoltre, se aggiungiamo a tale forza elettorale anche il consenso degli altri soggetti politici considerati come espressioni di forze antisistema, allora superiamo in modo cospicuo addirittura il 50 per cento dei consensi. E non esiste al mondo una forza antisistema con oltre il 32 per cento di suffragi. Ancor di meno, possono definirsi forze antisistema quelle che, se considerate tutte insieme, rappresentano la maggioranza schiacciante delle forze in campo. Comunque, gli sguardi e l’udito sono oggi rivolti verso il Quirinale per cogliere ogni sussurro dovesse provenire dal primo giro di consultazioni dei gruppi parlamentari e dei partiti politici che, come predisposto dall’agenda di Sergio Mattarella, saliranno sul Colle più alto per incontrarsi col capo dello Stato.
La domanda retorica che tutti si pongono in questo momento è: basterà un solo giro di consultazioni? Probabilmente, no. Sicuramente, invece, la responsabilità maggiore ricade oggi sul M5S. Perché è su di loro che sono puntati gli occhi. Infatti, per sciogliere il nodo di un futuro ed eventuale governo, bisognerà capire quali mosse verranno compiute dai pentastellati in questa estenuante partita a scacchi. Perché di questo si tratta. Anche se lo stallo che stiamo vivendo in questi giorni è stato pensato, voluto e costruito tramite la pessima legge elettorale con cui siamo andati al voto. Si è scelta questa legge elettorale appositamente per creare lo stallo e, in qualche modo, l’impossibilità di qualsivoglia delle forze politiche in campo di uscire vincitrici dalle elezioni. Tutti vincenti, nessun vincitore. Finora, si sono fatte molte chiacchiere. Non a caso, più che assistere a dinamiche politiche, abbiamo visto mettere in atto delle banali strategie di posizionamento. Del resto, dal 4 marzo ad oggi, a parte il giorno dell’elezione dei presidenti di Camera e Senato, tutto è apparso scontato. Come anche scontato è apparso l’esito elettorale uscito dalle urne. Con la legge elettorale in vigore, denominata “Rosatellum”, non poteva che prodursi una tale situazione di stallo. Era stato ampiamente previsto da innumerevoli osservatori e, come si poteva immaginare, siamo stati facili profeti. Luigi Di Maio, intanto, ha lanciato la proposta di un contratto di governo aperto soltanto alla Lega e al Pd, cioè si è rivolto ai “due forni” dei Cinque Stelle, escludendo Forza Italia da una possibile intesa di governo e ha così posto, di fatto, un veto su Silvio Berlusconi e sui suoi nomi per l’Esecutivo. A tale gioco delle tre carte, i Dem hanno immediatamente risposto picche, cioè hanno ribadito la loro scelta di porsi all’opposizione rispetto alle forze cosiddette populiste. Grazie, noi no.
Per quanto riguarda il sottoscritto, proprio su questo punto, come ho scritto qualche rigo più sopra, ricordo di aver più volte detto e ribadito che, dopo il voto, si sarebbe creato un panorama politico in cui tutti sarebbero apparsi vincenti, ma non vi sarebbe stato alcun vincitore. Anche il Partito Democratico può essere considerato vincente in questa situazione perché potrebbe diventare l’ago della bilancia, ma come tutti gli altri vincenti anche il Pd ha perso.
Insomma, neppure il Pd, sul piano delle dinamiche parlamentari, può dirsi perduto, ma perdente sì. Nessuno dei poli ha ottenuto la maggioranza, ancor meno il 51 per cento. Quindi, per formare un governo, serviranno delle alleanze parlamentari. Questo sarà possibile perché non esiste, per fortuna, in Costituzione, il vincolo di mandato. Altrimenti, la formazione di una maggioranza parlamentare sarebbe impossibile. Tutti vincenti, nessun vincitore. Tutti perdenti, nessuno sconfitto davvero. Neppure Berlusconi. Ma il nodo da sciogliere è quello dei pentastellati. Cinque anni fa, anticipando quello che successivamente disse anche Beppe Grillo, scrissi che il M5S aveva il pregio e il merito di convogliare la rabbia e la forte insoddisfazione dei cittadini italiani incanalandola verso una direzione elettorale dal risvolto politico piuttosto che farla esplodere attraverso l’odio o la violenza per le strade. La penso ancora così. Tanto più che il voto ai “grillini” evidenzia un chiaro voto di protesta, contro l’establishment di chi ha governato l’Italia negli ultimi 25 anni.
Gli elettori, con il loro consenso al M5S, hanno voluto inviare un messaggio preciso alla nomenklatura dei partiti considerati responsabili dell’attuale difficoltà in cui versano le persone comuni, la stragrande maggioranza degli italiani, gran parte del Meridione: votiamo i Cinque Stelle perché vogliamo cambiare, siamo delusi. Soprattutto, gli elettori si sono mostrati delusi da Matteo Renzi e dal Pd. Resta il problema principale: i cosiddetti “grillini” sono una forza che propone un “welfare senza libertà”. I pentastellati sono un movimento illiberale che aspira a comandare e non a governare. Questo, ormai, è chiaro. I Cinque Stelle sono un lusso che la libertà non può permettersi.
di Pier Paolo Segneri