lunedì 26 marzo 2018
È comprensibile l’irritazione e la delusione dei presidenti dei gruppi parlamentari di Forza Italia per il modo con cui è stata chiusa la vicenda delle presidenze dei due rami del Parlamento. Il sacrificio della candidatura di Paolo Romani per il veto ingiustificato del Movimento Cinque Stelle ha costituito una ferita non solo per la legittima ambizione del diretto interessato, ma anche per l’impegno personale speso da Renato Brunetta in favore del compagno di partito. Tanto più che questo sacrificio è stato utilizzato da Matteo Salvini per spianare la strada al suo prossimo tentativo di formare il governo.
Ma il fatto personale deve cedere il passo alle condizioni politiche. E la vicenda delle presidenze di Camera e Senato deve essere letta dagli stessi dirigenti di Forza Italia non come una sconfitta ingiustificata per le proprie persone, ma come la conseguenza inevitabile dei nuovi rapporti di forza che si sono creati dentro la coalizione di centrodestra dopo il voto del 4 marzo. La Lega di Matteo Salvini ha il ruolo di forza principale, Forza Italia, insieme con Fratelli d’Italia, quello di forza indispensabile per la coalizione ma non più centrale e trainante.
La perdita del vecchio ruolo non significa non avere più ruolo. Al contrario, significa assumerne uno diverso destinato a caricarsi di un significato politico meno legato alla sola leadership di Silvio Berlusconi, il centro del sistema dell’area moderata attorno a cui sono ruotati i partiti satelliti per più di vent’anni di seguito. Il Cavaliere, ovviamente, continua ad essere il fattore indispensabile dell’unità del centrodestra. Ma Forza Italia non può identificarsi solo ed esclusivamente nel proprio leader e fondatore ma deve incominciare a rappresentare, con il massimo del radicamento possibile, le istanze del mondo popolare, liberale, laico e riformista del nostro Paese.
Questo mondo non è comparso con il voto del 4 marzo. Esiste ma va organizzato, sostenuto e rinforzato operando una vera e propria rifondazione di una Forza Italia che non può rimanere solo ed esclusivamente proiezione di un leader su cui scaricare, come è avvenuto nel recente voto politico, tutto il peso della battaglia politica.
Non è facile per il gruppo dirigente di Fi immaginare che non si potrà demandare al solo Berlusconi la soluzione del problemi e il rapporto con il corpo elettorale. Ma se al presidente-fondatore non si affiancherà un partito portatore di una forte identità e capace di essere alleato indispensabile della Lega, non ci si dovrà lamentare se Salvini la farà da padrone!
di Arturo Diaconale