giovedì 8 febbraio 2018
Lo scorso 3 febbraio il quotidiano “Libero” ha pubblicato on-line un editoriale di Vittorio Feltri dal titolo: “Soldi che non ci sono a tutti i lazzaroni: M5S al Sud vincerà”. A proposito del voto del 4 marzo, il “Maestro” lancia un pronostico alquanto bizzarro: la vittoria dei Cinque Stelle nelle regioni del Sud grazie al voto a valanga degli sfigati che popolano le remote lande del Mezzogiorno d’Italia. La ricetta magica che spingerebbe alle urne masse di nullafacenti sarebbe: reddito di cittadinanza. Per dei perdigiorno intenti a grattarsi il ventre come unico sforzo quotidiano, cosa desiderare di meglio che sostenere un politico, Luigi Di Maio, fatto della loro medesima pasta? “...partenopei, pugliesi, calabresi eccetera hanno bisogno di essere soccorsi dallo Stato per campare. Se arriva un Di Maio da Napoli, affamato pure lui, e giura di elargire, una volta al potere, quattrini a poveracci e lazzaroni di ogni specie da qui all’eternità, è fatale sia accolto quale salvatore della Patria e della pancia, e portato in trionfo”.
Vittorio Feltri, indiscusso pilastro del giornalismo, ha preso una colossale svista imboccando, nel suo argomentare, la strada scivolosa del più frusto “luogocomunismo” su ipotetiche, ancestrali idiosincrasie dei meridionali per il lavoro. Il ritratto del Sud che viene fuori dal pennello di Feltri non esiste, è solo una caricatura di moda tra la gente di spettacolo. Non c’è un popolo di “fancazzisti” dedito all’ozio. I tempi di lavoro al Sud, nella media, sono come quelli del Nord. Il guaio è che una parte significativa della massa occupata è costituita da invisibili. Cioè da lavoratori irregolari che alimentano una coriacea economia del sommerso. Non è questa la sede per indagare le ragioni del fenomeno che interroga molteplici aspetti: economico, sociale, storico. Finanche filosofico. Resta il fatto che i numeri del lavoro “nero” sono da brividi. L’Istat ritiene che il “sommerso” rappresenti un asset strategico dell’economia nazionale. Sul dato del 2015 l’Istituto di statistica ha stimato un valore del sommerso pari al 12,6 per cento del Pil, la maggior parte del quale si produce nelle regioni meridionali. Un recentissimo focus del Censis, redatto in collaborazione con Confcooperative, dal titolo: “Negato, Irregolare, Sommerso: il lato oscuro del lavoro”, rileva che il fenomeno del “sommerso”, articolato nelle due principali componenti della sotto-dichiarazione del valore aggiunto e dell’impiego di lavoro irregolare, assuma nelle regioni meridionali un carattere strutturale andando a incidere sul valore aggiunto territoriale con percentuali molto significative. Sempre in riferimento al 2015, Calabria, Campania, Puglia, Molise, Sicilia hanno superato la soglia d’allarme del 15 per cento. Per chiarire la comparazione: la più alta in graduatoria è la Calabria al 17,5 per cento; la più bassa la provincia autonoma di Bolzano all’8,3 per cento.
È del tutto evidente che questi dati spieghino del perché i numeri sul tasso effettivo di disoccupazione in Italia siano inattendibili. Il livello massimo di disoccupazione registrato nel Mezzogiorno (54,1%), nel 2015, si rapporta al solo lavoro regolare. D’altro canto, sarebbe mai immaginabile una tenuta della coesione sociale in un territorio nel quale metà dei potenziali attivi censiti stiano a bighellonare tutto il giorno senza produrre reddito di qualsiasi natura? Se non per il nobile ideale dell’emancipazione dalla miseria le ribellioni sarebbero scoppiate da un pezzo anche soltanto per tedio. La verità è che esiste un esercito d’invisibili, sfruttati ogni oltre decenza. Gente che lavora per 10/12 ore al giorno nelle “fabbrichette”, occultate nei sottoscala dei palazzi, per una paga da fame. Senza diritti e senza protezioni. I nuovi schiavi fanno di tutto e lo sanno fare molto bene. Dall’abbigliamento, all’agroalimentare, alle manifatture artigianali, non ci sono soltanto africani e cinesi, ma anche meridionali trattati da africani e cinesi. E poi c’è la piaga della criminalità organizzata, l’antistato che dà lavoro e protezione. Ciò non vuol dire che tutti i reclutati finiscano nei circuiti della droga e del racket. Nel Meridione le organizzazioni malavitose assicurano anche l’ingresso nel mercato dei lavori legali, dal momento che esse, da tempo, hanno esteso la sfera d’influenza sulla cosiddetta economia regolare. E se qualcuno pensa che un povero cristo possa avere la forza di fare valere i propri diritti in imprese inserite in quel circuito s’illude. Su di una cosa però il Maestro ha ragione: nel Sud non si è persa la vocazione al posto fisso nel “pubblico”. Tuttavia, non si tratta, come sospetta Feltri, di velleitaria aspirazione al dolce-far-niente, ma della naturale ambizione a percepire retribuzioni dignitose e regolarmente pagate, a godere di diritti previdenziali e ad avere un futuro assicurato.
Il Maestro, a questo riguardo, resterà sorpreso dagli esiti elettorali. I campioni che promettono assistenzialismo à gogo più dei Cinque Stelle sono i vertici locali del Partito Democratico. E quelli non scherzano. Il 12 novembre 2016, all’Assemblea nazionale del Pd sul Mezzogiorno, il governatore campano Vincenzo De Luca ha annunciato un piano straordinario di assunzioni nella Pubblica amministrazione per 200mila giovani, caratterizzato da un meccanismo scalare delle retribuzioni per i nuovi assunti nell’arco di un triennio. Perciò, nelle regioni meridionali più disastrate non saranno i grillini a fare il pieno di scanni parlamentari ma i sodali di Matteo Renzi. E anche quel centrodestra del Sud che non sempre ha avuto idee chiarissime sulla lotta al clientelismo.
di Cristofaro Sola