giovedì 11 gennaio 2018
Confronto a distanza di titani martedì scorso nel salotto televisivo di Giovanni Floris. Intervistati in successione, Alessandro Di Battista e Matteo Salvini hanno inscenato una sorta di surreale competizione a chi inventasse le più “geniali” coperture per le loro edificanti promesse di spesa.
Su questo piano, credo che senza ombra di dubbio l’esponente grillino abbia surclassato il capo della Lega, riuscendo a comunicare agli italiani in ascolto un’impressionante sfilza di balle spaziali. Sebbene a un certo punto, incalzato dal conduttore e dai giornalisti in sala, egli abbia nervosamente iniziato ad esprimersi in una forma di moderno grammelot, farfugliando quasi rabbiosamente le sue mirabolanti coperture.
In estrema sintesi, il succo del suo eufemisticamente confuso discorso è il seguente: se si sono trovati svariati miliardi di euro per salvare alcune banche italiane, volete che non si riesca a fare altrettanto per le nostre fantastiche misure finalizzate a sostenere i redditi, tagliare le tasse e rilanciare l’economia?
Un discorso che probabilmente a quella parte di cittadini che continuano ad ingrossare l’esercito dei cosiddetti analfabeti funzionali potrebbe sembrare di una coerenza formidabile, sebbene esso, ahinoi, sul piano della logica fattuale cozza in maniera inesorabile con la realtà. Infatti, prescindendo dalla cialtronesca faciloneria con cui questi statisti da operetta affrontano da tempo la questione sistemica legata al salvataggio delle banche medesime, la cosa molto seria è che i personaggi del calibro di Alessandro Di Battista si propongono esplicitamente alla guida di un Paese soffocato dai debiti e dalle tasse senza conoscere l’elementare differenza tra spese una tantum, come per l’appunto sono gli eventuali quattrini utilizzati nei salvataggi bancari, e spese correnti. Queste ultime, in particolare, rappresentano da molto tempo il problema principale all’interno di un bilancio pubblico che, per ovvie ragioni di consenso, tende a privilegiare ogni forma di redistribuzione assistenzialistica a scapito degli investimenti, ridotti al lumicino, e al taglio strutturale del prelievo fiscale allargato. Una forbice molto negativa che da decenni condanna l’Italia al ruolo di fanalino di coda dell’Europa.
In questo senso, la linea di spese pazze dei populisti a Cinque Stelle, facendo letteralmente esplodere il capitolo delle uscite correnti, ci porterebbe rapidamente nel baratro di una irreversibile bancarotta economica e finanziaria.
di Claudio Romiti