mercoledì 6 dicembre 2017
E vabbè che se ne sta parlando, ma soltanto ora, e prima? Certo, un bravissimo Marco Cappato ha strappato ancora una volta quel velo che la benemerita scuola Pannella ci aveva indicato come causa primaria di cecità politica e umana. Ed è altrettanto sicuro che dopo la morte dei Fabiano Antoniani, meglio conosciuto come Dj Fabo, il silenzio scenderà a coprire una delle tante assenze della politica vera sul fine vita, suicidio, morte assistita e così via. Perché? Forse, anzi senza forse, uno dei motivi essenziali è stato per dir così adombrato dal nostro direttore nel suo “Pietro Grasso e l’eterno congresso”, un titolo che è di per sé tutto un programma. Sta di fatto che nell’eterno congresso per non decidere qualcosa di importante, anche un tema drammatico e urgente come questo finisce nel calderone, nel mare magnum della politica da talk-show, nella Polis dell’immagine l’un contro l’altra armata di pallettoni a salve, così, tanto “per far vedere che ci siamo!”. Sì, ma ci siamo (pardon, ci sono), ma dove? Ma in che film verrebbe voglia di rispondere, a parte gli scherzi. Forse sui teleschermi furtivi e avidi di urlati scontri, altro che incontri? Su qualche settimanale di buona volontà ma poi costretto a ripiegare sul gossip? O magari anche su alcuni giornali un po’ più seri?
E si ritorna al punto di partenza, ai perché, tanti, troppi. Il fine vita, appunto, e la vita come bene indisponibile per la legge italiana, la dignità umana tirata in ballo e che pure c’entra, eccome, quando si tratta di rifiutare le cure mediche. Ma dire no a una vita che non è più tale, per un giovanissimo paraplegico e cieco, le sofferenze senza rimedio; ecco, questo non è legale, è contro la Lex, secondo la massima del dura lex sed lex, purtroppo.
La legge, i magistrati, e i processi per fare, per rendere giustizia. In questo caso, quanto mai simbolico, la legge tramite i suoi esecutori, è occhiuta, severa, arcigna, irrimediabile nella misura con la quale, sia pure in presenza di pareri opposti dentro all’altalena del dualismo Pm/Gup, Marco Cappato viene interrogato nel sospetto che abbia compiuto o quanto meno favorito un’azione violenta sul bene non disponibile della vita. Donde l’incriminazione, il dibattito in tribunale, e le testimonianze nella loro commovente drammaticità di chi è rimasto vicino a Fabo. A cominciare dalla madre.
“A volte gridava per il dolore - ha detto la mamma di Fabo - gli sembrava di avere il diavolo in corpo e mi diceva: voglio morire, mamma, devi accettarlo. Io ho barato molte volte, ma alla fine ho ceduto. Sono andata in Svizzera con lui e Cappato. Due minuti prima che premesse il pulsante con la bocca, gli ho detto vai Fabiano, la mamma vuole che tu vada”.
E l’infermiere che ha curato Fabiano: “MI ha chiesto più di una volta di aiutarlo a morire, a farla finita con una esistenza così. E piangeva dal dolore insopportabile dicendo fra le lacrime: non ce la faccio più”.
La più commovente delle testimonianze ci è sembrata quella della ragazza, della fidanzata, innamorata di Fabiano, che ne ha ricordato la tremenda condizione di non vedente e paralizzato, che “voleva morire, e io prendevo tempo. Ma se gli avessi detto: ‘non ti aiuto’, questo avrebbe significato che non l’amavo”.
Già, l’amore. Amor vincit omnia, come dicevano i latini. E davvero può rendere giustizia. Non quella che conosciamo e che ha voluto questo processo. A meno che...
di Paolo Pillitteri