La solita guerra delle parole

sabato 28 ottobre 2017


Brevemente sul caso del “giorno” che coinvolge la squadra di Calcio della Lazio e il suo presidente Claudio Lotito, anche perché non credo che ci sia molto da dire in merito all’ennesima guerra di parole che imperversa in una società dominata da ipocriti e farisei.

Al di là del fattaccio incriminato, che vede coinvolta una aliquota di teste calde della tifoseria locale, il linciaggio morale che sta subendo Lotito, divenuto quasi il capro espiatorio di antiche ideologie criminali, non è tollerabile. Non è tollerabile l’accanimento di molta stampa nel cercare tra le dichiarazioni di un personaggio piuttosto sanguigno, e per questo espressione di una certa spontaneità dialettica, frasi e parole che possano svelare una sua nascosta simpatia per il nazi-fascismo da operetta manifestato dalle citate teste calde.

Ancora una volta in merito a una delle tante scemenze che esprime il mondo del calcio, dove certamente non regna a tutti i livelli una grande qualità intellettuale, si monta un caso nazionale in cui, come in una improvvisata sceneggiata, una certa informazione politically correct assegna i ruoli di vittima e quello di carnefice.

Anziché porre nella giusta collocazione l’ignobile goliardata dei soliti imbecilli in servizio attivo permanente, la questione viene ingigantita a dismisura, stimolando un insulso dibattito su ciò che doveva o non doveva fare l’incolpevole Lotito e quanto sincera sia stata la sua decisione di collocare una corona di fiori all’ingresso della Sinagoga di Roma. Ma a tal proposito ci si chiede: nel Paese dei sepolcri imbiancati, in cui la speculazione mediatica sulle parole conta più della realtà effettuale, ha ancora senso parlare di sincerità? Io penso proprio di no.


di Claudio Romiti