M5S: predicare bene e razzolare male

mercoledì 30 agosto 2017


Una delle scommesse (anche per ridere) di questa caldissima estate riguarda la durata - politica, beninteso - dei grillini al governo di importanti città e in predicato, secondo non pochi osservatori, di accedere al governo del Paese o, detto meglio, di vincere le prossime elezioni politiche.

Il punto del contendere, tuttavia, è come dire propedeutico, di sguincio rispetto al bersaglio centrale e riguarda un punto di fondo: riusciranno i grillini a mantenere, a cominciare dai media, lo sguardo sostanzialmente benevolo fino a poco fa goduto? Diciamo “poco fa” perché su certi giornali si notano da qualche giorno atteggiamenti non solo critici ma, quel che più conta per una certa opinione, dichiaratamente ironici. Del resto, le disavventure della sindaca capitolina si sono susseguite a velocità supersonica vivificando le noterelle e gli appunti estivi anche là dove nei confronti della banda Grillo-Casaleggio c’era sempre stata una specie di franchigia, di perdono a prescindere. Ma di qui a dire che è finita la pacchia ce ne corre, donde le scommesse di cui sopra.

Domandiamoci comunque, sia pure per un gioco teorico, per quale oscura ragione la suindicata banda - che poi è un’autentica ditta padronale - abbia goduto e goda di questa benevolenza, invero assai poco motivata se si guarda ai risultati ottenuti dal grillismo governante. Il fatto è che da che mondo è mondo, e soprattutto nella politica, vale la massima che chi vince ha sempre ragione, in modo particolare se chi ha vinto (le elezioni) ha puntato essenzialmente sulla innocenza propria da opporre alla corruzione endemica degli altri partiti, di tutti, ovvero di quella Casta che già dalla sua geniale invenzione letterale ha costituito il target più formidabile per liquidare prima i partiti e poi la politica tout court.

L’anticasta aveva e ha non poche ragioni di esistere, ci mancherebbe altro. Ma il populismo giustizialista del duo Grillo-Casaleggio ha fatto la differenza, e quale differenza! In un’autorappresentazione trionfalistica parolaia e insultante che, in virtù delle debolezze altrui non meno che delle difficoltà socioeconomiche, si è trasformata in un’alternativa. La domanda da porci, sullo sfondo di un’economia che dà qualche segnale di ripresa, è semmai il se e il quanto a lungo tale alternativa godrà di un appoggio popolare che, prendiamo il caso emblematico di Roma, ha consentito alla sindaca Virginia Raggi di ottenere il quasi settanta per cento, diconsi settanta romani su cento, rispetto a un Roberto Giachetti fermo a poco più del trenta. I più tirano i meno, si chiosava una volta e valga pure per Roma, consentendo, mettiamo a un chiacchierone come Luigi Di Maio, il delfino e anche presidente in pectore, di dire tutto e il suo opposto, di apparire sorridente e pontificatorio, da Capo Passero a Londra, con la sua simpatica e inguaribile faccia di tolla a dare voti, giudizi, sentenze, visioni, e programmi che sulla bocca di qualsiasi altro sarebbero apparse, né più né meno, che le solite promesse elettorali della luna del pozzo, di mari e monti, le cui finalità, se ci si ragiona un poco, non potrebbero andare oltre un’opposizione fine a se stessa, posto che, quanto a risultati dei governi grillini sarebbe meglio sorvolare. L’uso del condizionale è d’obbligo, si capisce. Eppur si muove, vien voglia di dire. Qualcosa sembra muoversi, a cominciare sia dai mass media più importanti sia, ma non vogliano illuderci e illudere troppo, dall’interno del mondo grillino.

Intanto il cambio del quarto assessore al bilancio (a naso aveva ragione Andrea Mazzillo contro il concordato preventivo voluto invece dalla Raggi) ha messo la pulce nell’orecchio massmediologico in virtù delle accese polemiche interne, e non solo a Livorno, per la imposta trasferta di un assessore di questa città nella giunta di Roma. Un gesto squisitamente padronale, si direbbe. La mossa tipica di chi, mettiamo un Casaleggio, si sente e fa l’amministratore delegato di una società privata e di un movimento politico spostando uomini e donne grilline come le pedine di una scacchiera, infischiandosene bellamente di quella autonomia locale sbandierata dai pentastellati come una loro prerogativa, un bene prezioso e inalienabile da contrapporre al centralismo degli altri.

Quando si dice: predicare bene e razzolare male. O, come l’immortale Principe De Curtis, in arte Totò: alla faccia del bicarbonato!


di Paolo Pillitteri