mercoledì 9 agosto 2017
Venezuela, il regime ha gettato la maschera e si mostra per quello che è realmente: una dittatura leggermente mascherata da democrazia. L’Assemblea Costituente mono-partitica, per prima cosa, ordina di arrestare una procuratrice generale non allineata. Perché investigava su eventuali brogli elettorali. E, alla radice di questa ultima evoluzione, non si può non definire dittatura quella di un presidente che viola egli stesso la Costituzione del suo Paese, convocando elezioni irregolari per eleggere un nuovo organo legislativo col compito di riscrivere la Costituzione che si sovrappone al Parlamento (in cui i partiti di opposizione a Maduro sono maggioranza).
Se Hugo Chavez, almeno, aveva avuto il tatto di rispettare la lettera costituzionale per creare gradualmente un sistema totalitario, facendosi quantomeno tollerare dalla comunità internazionale e amare dai terzomondisti di tutto il mondo, il suo successore Nicolás Maduro preme sull’acceleratore dell’autoritarismo e lo fa in modo estremamente esplicito e grossolano. Oltre a mandare i mezzi blindati per le strade, sotto gli occhi delle telecamere di tutti i media del mondo, venerdì scorso ha anche licenziato la procuratrice generale Luisa Ortega Diaz, praticamente in mondovisione. La Guardia Nazionale ha bloccato gli accessi della procura, impedendole di entrare, fisicamente. Lei ha rilasciato dichiarazioni alla Cnn e a tutti i media lì presenti, denunciando la deriva totalitaria e parlando dell’inchiesta ancora in corso su tangenti brasiliane destinate a Maduro e ai suoi. Ora tutte le carte di quella indagine sono sotto sequestro. Così come sono sotto sequestro i documenti e i beni della Ortega, che non può lasciare il Paese. Lei ha dichiarato che non si arrenderà e condurrà la sua battaglia da dissidente, sensibilizzando le istituzioni “nazionali e internazionali” contro la deriva totalitaria.
La sua non è l’unica voce di dissenso. C’è anche quella di un ufficiale solitario dell’esercito venezuelano. Uno dei pochissimi non fedeli al chavismo. Costretto a riparare all’estero nel 2014 dopo che aveva parlato molto apertamente contro il governo bolivariano, il capitano Caguaripano ha guidato un manipolo di 20 militari a lui fedeli all’assalto di una caserma. I media venezuelani parlavano di “golpe fallito”. In realtà si è trattato di un ben riuscito furto di armi dell’esercito regolare nella caserma di Forte Paramacay, Valencia. Durante il quale il capitano Caguaripano ha anche mandato online un video con la dichiarazione di guerra al regime (“un’azione civica a difesa della legalità costituzionale”) e ha ispirato un’improvvisata manifestazione di piazza dell’opposizione politica. Il bilancio del blitz è di tre morti, due fra i militari dissidenti e un attivista civile dell’opposizione, Ramon Rivas, del partito Avanzada Progressista. È una grave umiliazione per l’establishment bolivariano, che fino ad ora vantava un sostegno compatto delle forze armate.
Poi c’è il dissenso invisibile, quello degli attivisti hacker che hanno piratato 25 siti Web governativi il giorno successivo alla piccola rivolta militare. Gli hacker, che si fanno chiamare “Binary Guardians” solidarizzano con i militari insorti. Secondo le autorità venezuelane si tratterebbe di dissidenti con base a Miami e in Colombia. Hanno “sfigurato” i siti governativi, della Corte Suprema e della Commissione Elettorale, invitando alla rivolta e scrivendo che “la dittatura ha i giorni contati”.
Anche all’estero, è in corso una vera e propria ribellione diplomatica contro una dittatura sempre più esplicita. Dagli Usa arrivano le sanzioni economiche. Ma anche dalla Santa Sede, che pure finora ha svolto il ruolo imparziale di mediatore fra governo e parlamento, è giunto un lungo e duro messaggio, scritto dal segretario di Stato, Pietro Parolin. Il cardinale, già nunzio apostolico in Venezuela, scriva a nome di Papa Francesco e chiede di sospendere i lavori dell’Assemblea Costituente, non riconoscendone la legittimità, dunque, e considerandola come benzina sul fuoco della tensione. Il Mercosur, l’organizzazione economica sudamericana che nel 2012 aveva ammesso (dopo una lunga opposizione) il Venezuela di Hugo Chavez, adesso ha annunciato la sospensione del Venezuela di Maduro.
Ma oltre alla ribellione interna ed esterna, il regime bolivariano sta subendo soprattutto una ribellione della realtà. L’economia socialista messa in piedi da Chavez e “perfezionata” dal suo successore, sta infatti tirando gli ultimi. Ci sono le code ai negozi come negli ultimi giorni dell’Urss. E c’è un’inflazione arrivata a toccare l’800 per cento. I soldi non servono più. La gente baratta o ricorre alla borsa nera, con beni di prima necessità comprati on-line in bitcoin. Chi può, scappa in Colombia. Quanto può durare tutto questo sfascio?
di Stefano Magni