mercoledì 5 ottobre 2016
C’è un aspetto della obbrobriosa pretesa riforma della Costituzione che sta sfuggendo all’attenzione di un po’ tutti ed in particolare dei “politologi” che pretendono di pontificare in materia. Si contesta il dato di uno scivolone verso forme autoritarie. In realtà c’è qualcosa di peggio.
C’è, nel progetto Renzi-Boschi, un trasferimento attuale di potere dalla sovranità popolare (che così non è più propriamente “sovrana”) e dai suoi rappresentanti alla giurisdizione, funzione esercitata da un’oligarchia che della sovranità popolare è l’opposto. Intanto, l’attribuzione alla Corte costituzionale di una funzione “preventiva”, attraverso la consultazione nel corso di discussioni di leggi, fa di questo Organo d’impianto giurisdizionale e di formazione non rimessa alla volontà popolare, comporterebbe la partecipazione, sia pure eventuale, di essa al potere legislativo, che così sempre meno (anche per l’elezione indiretta del Senato) sarebbe riservato agli eletti dal Popolo.
Ma c’è un aspetto meno visibile ma assai più grave. La modificazione elefantiaca e grottesca dell’articolo 70 (dalle 9 alle 476 parole!) con la moltiplicazione dei “percorsi legislativi” (altro che “semplificazione”!) con differenziazione di “competenze” per le diverse materie, complicata ed approssimativa, crea il venir meno della certezza della competenza (si avrebbe: solo Camera – Senato + Camera, Camera ed eventualmente Senato) con la conseguente apertura di un colossale contenzioso relativo alla “costituzionalità formale delle leggi” (oggi possibile solo nei casi di legislazione delegata). Ciò comporterà un enorme potere della Corte costituzionale ma anche l’intasamento del suo funzionamento.
Provocherebbe, quindi, un fenomeno ancora peggiore. In ogni caso di remissione alla Corte costituzionale di una questione, il giudizio in cui essa è stata sollevata viene sospeso. Se la Corte è intasata la sospensione è, in pratica, un “blocco”. I magistrati ordinari ed amministrativi acquistano così un enorme potere di bloccare le leggi votate dal Parlamento. Si torna ad un sistema precedente, in Francia, alla Rivoluzione, quando i Parlamenti, che erano Organi giudiziari, potevano bloccare le leggi emanate dal Re (benché sovrano assoluto) sollevando questioni di forma nell’intricata Babele del sistema assolutistico-feudale.
In conclusione: col “Sì” aumenta l’incertezza del diritto, che si estende a quello costituzionale. E aumenta, confermandone e rafforzandone la valenza politica, il potere della giurisdizione, cioè della casta dei giudici (e dei Pubblici ministeri). Questa è la “semplificazione” e la “modernizzazione” della Costituzione! È di per sé, invece, una menomazione mortale della sovranità popolare e della democrazia. Il trasferimento di potere di fatto dai rappresentati eletti dal popolo alla Giurisdizione (della Corte costituzionale e della Giurisdizione Ordinaria e Amministrativa) con giudici e Pm che già si arrogano il diritto di destituire Governi e Amministrazioni pubbliche e, magari, di “processare” lo Stato e di indagare sulla nomina di ministri (Palermo!), è già di per sé una deriva autoritaria. Non ci sarebbe bisogno che Matteo Renzi si metta gli stivali e vieti i partiti che non siano quello “della Nazione”. Questa significherebbe la vittoria del “Sì”.
di Mauro Mellini