venerdì 23 settembre 2016
Una premessa, anzi due. Una delle scelte che mi ha reso simpatico il sindaco Gianni Alemanno è stata la nomina di Gian Luigi Rondi alla testa della Fondazione Cinema per Roma e della relativa festa. Si sa, critici cinematografici (lo fui per anni) è più che una passione, è una donazione di se stessi alla settima arte e derivati televisivi per cui, quando mi capita di giudicare una fiction qualsiasi, scatta in me il riflesso condizionato: cosa ne direbbe Rondi? Presto fatto, ma fra poco e a proposito della nuova fiction “Lampedusa” della Rai. Un’aggiunta su Rondi: eravamo amici, compaesani valtellinesi, ma lui mi diceva di essere “totus romanus” ed io, a lui, “totus ambrosianus”. Era figlio di carabiniere come me, era stato partigiano giovanissimo (cattocomunista) come mio padre (badogliano), ecc.. Ma soprattutto, Rondi (ma pure Carlo Lizzani) aveva salvato dal catastrofico tsunami del 1968 la Mostra del cinema di Venezia, il che lo colloca nel Pantheon degli eroi sui generis, pure andreottiani. Ma basta.
Nei panni e in ricordo di un amico scomparso tento dunque di decifrare, ancor prima della fiction in questione, alcuni messaggi di Papa Francesco che - peraltro e soprattutto - ne stanno alla base e che, pur con il massimo rispetto verso il Pontefice (Rondi era, “et pour cause”, un devoto di Pio XII), rischiano di semplificare e purtroppo minimizzare le due emergenze: dell’immigrazione e del terrorismo. La prima, infatti, finisce a ridosso della seconda e viceversa, a causa della sua dimensione biblica e la conseguente paura in un mondo civile nel quale il terrorismo islamico semina morte e guerra. Sicché, se nel solco del Francesco-pensiero, nel Mare Nostrum “l’accoglienza è un obbligo cristiano” e non può esserci alcun confine, come per le petroliere e le crociere, così “il terrorismo è nulla di fronte alla guerra... essendoci un conflitto planetario alimentato da chi specula sul petrolio e sui diamanti” (sic!). Semplificazione e minimizzazione, forse inevitabili in una Papa che viene da lontano, ma di certo assumono un certo spessore, anche interpretativo, nella miniserie Rai tv “Lampedusa”.
Nulla da dire sulla qualità estetica, sia pure col ricorso vagamente “ruffiano” ad un Claudio Amendola che nelle vesti del maresciallo della guardia costiera sommerge la sua classe, ma anche e soprattutto la bravura imbattibile e oggettiva dei protettori delle nostre coste, nella retorica da fiction ispirata sia al messaggio francescano che al politically correct come si dice: boldriniano. Per carità, tutto legittimo e tutto alla luce del sole. E tutto sul servizio pubblico radiotelevisivo. Il punto è che lo stato delle cose, la realtà, ciò che accade - e non solo nel Mediterraneo ed a Lampedusa - ci raccontano un’altra storia, al di là dello strazio dei corpi morti galleggianti. Morire in un mare di retorica è ben diverso che affogare, a migliaia, nel mare di casa nostra. Altrettanto il populismo buonista sotteso alla fiction rischia di produrre l’effetto contrario col successo dei movimenti anti-immigrati nel mondo, dagli Usa alla Germania. E in Italia? Diciamocelo, almeno inter nos: lo Stato italiano, tramite la Guardia costiera, è il più capace, il più umano e il più disponibile al mondo a soccorrere e salvare in mare migranti, rifugiati e immigrati economici, donne, anziani e bambini. Siamo i più bravi, lo sanno e lo dicono tutti.
Ma il resto? Il dopo? Dire impreparato allo Stato è tutto e niente, a meno che non si osservi lo stato delle cose, per l’appunto. Che ci parla innanzitutto della colpevole mancata previsione, ahimè non solo italiana, di un problema di enorme complessità come questa emergenza che presuppone certamente umanità e solidarietà, ma anche e soprattutto strutture in grado di affrontarla in loco, ma che ci mancano o sono strapiene anche per l’assenza, non meno colpevole, del rigore necessario, sostituito da illusioni di scorciatoie “buoniste”. Col peggioramento ulteriore di una situazione tanto grave da produrre chiusure di confini a Ventimiglia piuttosto che al Brennero e per la Svizzera.
Come diceva Rondi: a tutto c’è una soluzione, ma solo al cinema. E nella fiction.
di Paolo Pillitteri