Parisi: società civile oppure Big Society?

venerdì 16 settembre 2016


Questa riflessione appartiene, come tante, alla categoria dei consigli non richiesti. Figuriamoci poi a Stefano Parisi che, peraltro, raccoglie oggi a Milano qualche migliaio di iscritti alla sua prima uscita politico-programmatica, come si diceva una volta. L’attesa è dunque assai viva, almeno fra i suoi tanti elettori alle Comunali, e per così dire vivace all’interno del corpaccione di Forza Italia dove il timore, non infondato, che la new entry debba cambiare cose e persone, suggestiona queste ultime al punto tale da imporsi e imporre la non partecipazione all’incontro. Sbagliando, ovviamente. Anche se, come diceva nonna Teresa: “Sbagliando s’impara”. Almeno ce lo auguriamo, non foss’altro perché all’argomento che i nemici interni sbandierano, di essere Parisi non soltanto l’ultimo arrivato ma, soprattutto, un gratificato da Silvio Berlusconi, si può replicare che “almeno lui ha la stoffa” (Feltri dixit).

La verità è che Stefano Parisi appare una sorta di ultima spiaggia a fronte di una Forza Italia in balìa di divisioni esasperate, sia dall’assenza di uno straccio di direzione partitica sia da un personalismo a volte in cerca di una visibilità mediatica risoltasi spesso in un boomerang. Ultima spiaggia anche rispetto ai dieci milioni persi da FI, che non sono bruscolini, ma anche una risorsa, Stefano Parisi, proprio a fronte del brillante risultato milanese in grado di recuperare vasti consensi, raddoppiando, addirittura, la Lega di Matteo Salvini. Per forza i contrasti, le ansie, gli ostacoli e - soprattutto - le invidie dentro Forza Italia. È umano, come si dice. Ma non serve sol che si pensi all’opera, invero titanica, di un consistente riaggancio di quei milioni di consensi smarriti.

Ci si prova Parisi e qualche consiglio, sia pure non richiesto, vale la pena avanzare. Non entriamo nel merito specifico, come il “No” al referendum o ad altri “No” costitutivi, peraltro, della struttura di un’opposizione in cui il leader, Berlusconi, ha più di una ragione, umana e politica, contro il trattamento infame subìto dalla sinistra con l’esclusione dal Parlamento. Quello che ci interessa è un ragionamento più generale che nasce, tra l’altro, da iterate dichiarazioni di Parisi a favore della leggendaria società civile cui si rivolgerebbe politicamente e programmaticamente offrendole un’accoglienza con, a volte, echi antipolitici. Il fatto è che non soltanto la società civile, nell’accezione del politically correct di moda, è esclusiva o escludente perché si autopromuove “ex cathedra moralis”, ma perché è essa stessa una dimensione che non potrà mai accogliere la politica se non come spazio derivato e sottomesso. Il che è, a ben vedere, un nonsense, che non porta da nessuna parte. C’è, infatti, una società nel suo intero, vasta ma dimensionata, una Big Society come ricorda il suo inventore - e ideologo di David Cameron - Philip Bond, che costituisce una sorta di terza via rispetto a una drastica Margaret Thatcher: “La società non esiste” e al laburismo post-Blair che insiste tenace sullo Stato.

La Big Society sostiene come principio fondante che “la società esiste, solo che non è lo Stato”. È un cambiamento culturale quello che introduce il nuovo termine postulando una società non più alle dipendenze delle autorità e della burocrazia, ma una società nuova dove le persone sono libere di mettersi insieme per la soluzione dei problemi e per rendere sempre migliore la propria comunità. Comunità, associazionismo, volontariato (sussidiarietà, come si dice da noi) e Big Society tendono a intrecciarsi in una narrazione liberale, come infatti aggiunge, chiarisce e afferma Philip Bond: “Possiamo chiamare ciò liberalismo, responsabilità, libertà. Io preferisco chiamarla Big Society”. Ma Cameron, almeno nei suoi primi discorsi, ché la sconfitta sulla Brexit l’ha per ora azzoppato, contrapponeva il Tory al Labour togliendogli quella veste di tutore dei ricchi e di partito disinteressato dei problemi sociali, predisponendo un approccio che presuppone bensì un passo indietro dello Stato e un passo in avanti della società ma per consentire di liberare le energie imprigionate e soffocate in un raccordo che soltanto la politica, non l’antipolitica (ne vediamo certe sue comiche nell’avventura grillina), può esercitare.

Tanto più che, nel ragionamento più ampio nell’intuizione della Big Society, si delinea un “conservatorismo per i poveri” con la precisa volontà politica di porre rimedio agli errori e ai guasti di un sistema prevalentemente attento al mercato ma, anche e specialmente, non più cedevole di fronte alle tentazioni “socialiste e stataliste”. Non a caso Bond, critico contro l’Ue e la moneta unica ma a favore del “remain” e contro la Brexit, ha definito l’Italia di oggi il Paese che ha faticato più di tutti con la Ue e l’Euro ma: “Le sue tradizioni cattoliche e associazionistiche rappresentano la base perfetta per un movimento di conservatorismo sociale che possa ristrutturare prima il Paese e poi l’Europa”. Parisi: attento alla Big Society. Altro che la società civile che, dicono i veggenti, porta pure iella.


di Paolo Pillitteri