mercoledì 7 settembre 2016
“Lasciamoli lavorare, il giudizio sul loro operato si potrà dare dopo”. Questa considerazione di buon senso, che vale per chiunque assuma per la prima volta una qualche responsabilità di governo, non può valere per i Cinque Stelle e per la giunta capitolina guidata da Virginia Raggi. Non perché ai grillini non si possa dare quel credito che viene sempre concesso ai neofiti del potere. I componenti del Movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non hanno peccati originali da scontare e non debbono fare ammenda di alcunché, tantomeno di essere poco amati (come accadde a Silvio Berlusconi nel 1994) dai vecchi gruppi di potere. A loro, però, non si possono firmare cambiali in bianco per un motivo fin troppo evidente. Hanno ottenuto successo e consenso, sicuramente superiori alle loro stesse aspettative, evitando accuratamente di pronunciare promesse specifiche ma garantendo al corpo elettorale che una volta insediati nella “stanza dei bottoni” avrebbero fatto piazza pulita dei personaggi e dei metodi del passato ed avrebbero avviato una fase radicalmente nuova e diversa.
Per rispettare la garanzia che ha consentito loro di conquistare a larghissima maggioranza il Campidoglio avrebbero dovuto compiere immediatamente la cesura con le amministrazioni del passato. Ed avrebbero dovuto farlo non esitando ad assumere la responsabilità per l’eccessiva frettolosità. I romani li hanno votati chiedendo loro un drastico colpo di ramazza. E non si sarebbero scandalizzati se qualche colpo fosse andato a vuoto o fosse stato poco calibrato.
Invece Virginia Raggi e la sua giunta non hanno fornito alcun segnale di cambiamento. Al contrario, hanno inanellato uno dopo l’altro atti e comportamenti in tutto simili a quelli delle amministrazioni passate e di quei partiti di cui l’azione innovatrice dei Cinque Stelle avrebbe dovuto cancellare il ricordo. In particolare hanno messo in mostra una litigiosità interna dei dirigenti ed una famelicità di poltrone e prebende dei propri quadri che sono apparse una riedizione peggiorata degli spettacoli inverecondi realizzati a suo tempo dalle forze politiche da dimenticare.
Naturalmente è ancora troppo presto per stabilire che i “nuovi” sono uguali se non peggiori dei “vecchi”. Ma chi aveva promesso l’innovazione immediata non può pretendere comprensione e pazienza da parte degli elettori. La cambiale è già scaduta!
di Arturo Diaconale