giovedì 11 agosto 2016
È di nuovo conio la Renxit brevettata dal nostro direttore. Ed è un’azzeccata derivazione dalla leggendaria Brexit, con quel che ne è seguito lassù, nella un tempo perfida Albione. La similitudine non solo è appropriata ma diventa una narrazione politica la cui centralità è indubbiamente dovuta allo stesso Premier, che ha riconosciuto l’errore marchiano della personalizzazione del referendum. Meglio tardi che mai, beninteso. Ma è curioso il fatto che proprio la “narrazione” imposta da Matteo Renzi fosse sigillata da questo aut aut, o me o le elezioni, dimenticando la regola prima delle autopromozioni: non suggerire all’avversario il vero argomento della disfida. Il vero argomento era ed è lui, il suo Governo, non il referendum, il nostro referendum.
L’aspetto ancora più intrigante della faccenda sta nelle more di una simile contesa. Sembra, intanto, che lo scontro debba puntare d’emblée sulla data. E già s’odono a destra e a sinistra gli squilli della levata d’armi. Ma la data conta fino ad un certo punto. Per adesso accontentiamoci di osservare gli schieramenti in campo. Da una parte e dall’altra non mancano gli argomenti pro o contro. Peraltro, la stessa entità referendaria si presta spesso a giudizi che superano quell’aut aut, insinuando persino il desiderio di un’astensione che, nei referendum, conta anch’essa fino ad un certo punto.
Cosa conta, allora? Cosa ci interessa? Il dato più curioso per un osservatore non disattento è l’atteggiamento di un duo, di un paio di contendenti, di un ambo vorremmo dire che fu giocato a suo tempo sulla ruota del Nazareno. I due sono, appunto, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Un’analisi delle ultimissime tornate che premettono il rush finale nell’autunno più o meno inoltrato, dimostra un dato politico: che il rischio maggiore, se non definitivo (politicamente parlando, si capisce) lo corre Renzi, non tanto o non soltanto perché un Premier - giudicato in Brasile il leader politico fra i più fotogenici sulla piazza - ha da perdere molto di più di un avversario ancorché di nome Berlusconi, ma soprattutto perché la posizione del primo è legata quasi metafisicamente al secondo. Nel senso che le speranze renziane di vincere sono collegate ad una ripresa, se non dello spirito almeno dello spunto del Nazareno, altrimenti la ruota della fortuna si blocca.
Ma, attenzione, soltanto per lui, che pure è un buon conoscitore di quel gioco televisivo, ridiventato un asimmetrico gioco del lotto la cui ruota, per vincere, non può che fermarsi sull’ambo. Per il Cavaliere, invece, non vale la sfortuna. Non c’è. La ruota può fermarsi dove vuole, ma non ha niente da perdere neppure se si fermasse sul Sì. Figuriamoci sul No. “Rebus sic stantibus”, è ulteriormente intrigante notare come e quanto quel termine di metafisica debba turbare qualche momento di riposo di un Premier, benché malato di onnipresenza. È chiaro che fra un volo intercontinentale e l’altro dovrà pur chiedersi come vincere senza rischiare di perdere, che è l’interrogativo primo di ogni leader. E se la lucidità non l’abbandona andandosene in sonno, gli risulterebbe evidente che la migliore utilizzazione di questa estate volubile sarebbe quella di stabilire un incontro, un faccia a faccia, un pomeriggio di tè (non danzante) ad Arcore. Sorseggiando la bevanda, potrebbe fargli la proposta di puntare insieme su un ambo speciale che consiste nel cambiare, sempre insieme, la legge elettorale.
Ma non per farla ai nemici interni, non per battere o combattere qualche avversario insopportabilmente petulante, non contro qualcuno, ma semplicemente per cambiarne qualche piccola ma significativa parte, per migliorarla. Insomma, per apporre qualche correzione all’Italicum, fonte di ogni match in tivù (per ora), suggerendo, chessò, l’introduzione dei collegi uninominali e qualche altro ammennicolo. Per carità, lasciamo perdere i grandi discorsi sul rifacimento di un nuovo Patto. Siamo più terra terra, che il resto lo è molto in peggio. L’uscita di Beppe Grillo sul referendum la dice lunga sulla, per dir così, inessenzialità di un certo pensiero politico, gran vendemmiatore demagogico e giustizialista nelle urne, ma di una pochezza e vuotezza progettuali sconfortanti e sconcertanti. Il profeta pentastellato ha detto che capisce ben poco del referendum. “Sono tutte belle parole per il sì e per il no. Voi dovete decidere con l’istinto primordiale che avete ancora. Guardate le facce di chi vi dice votate sì!”. Soprattutto se fotogeniche. Be careful, Matteo!
di Paolo Pillitteri