Le due fasi della campagna referendaria

mercoledì 10 agosto 2016


La Corte di Cassazione ha dato il via libera ed ora inizia ufficialmente la campagna per il referendum sulla riforma costituzionale. Naturalmente il dato è solo formale. Perché è vero che il Governo ha sessanta giorni per fissare la data in cui si svolgerà la consultazione referendaria, data che presumibilmente cadrà nella prima decade di novembre per consentire l’approvazione in prima lettura della legge di stabilità e mettere in di sicurezza il Paese in caso di vittoria dei “No” e dimissioni di Matteo Renzi. Ma è ancora più vero che la campagna referendaria è iniziata dall’inizio dell’anno, quando Matteo Renzi ha deciso di politicizzare al massimo l’avvenimento ponendo al centro del referendum non la modifica della Costituzione ma la sua permanenza a Palazzo Chigi.

Il Presidente del Consiglio, dopo sei mesi di martellante azione propagandistica condotta all’insegna del messaggio terroristico teso a dimostrare che senza la vittoria del “Sì” il Governo senza alternative sarebbe caduto gettando il Paese nel caos più completo, si è accorto che l’eccessiva personalizzazione del referendum non lo favorisce ma lo danneggia. Ed è corso ai ripari cercando in ogni modo di allontanarsi dalla partita per non trasformare il momento del voto in una sorta di plebiscito dei suoi sempre più numerosi antipatizzanti.

La correzione di rotta non è riuscita del tutto e, a ben guardare, è ben difficile che possa determinare la separazione definitiva tra il merito della riforma e la sorte del Governo. Sia perché i sei mesi in cui Renzi ha puntato sulla personalizzazione sono stati talmente intensi da rendere impossibile la loro cancellazione dalla memoria dell’opinione pubblica. Sia perché anche all’esame del più asettico e disincantato osservatore appare fin troppo evidente come il valore politico della sorte del Governo Renzi appaia preponderante rispetto ad una riforma costituzionale che anche i suoi artefici e promotori giudicano piena di limiti e di imperfezioni da correggere successivamente.

Questo valore politico è accresciuto poi dalla circostanza che nei sei mesi della personalizzazione estrema il Presidente del Consiglio si è preoccupato di raccogliere attorno al proprio nome ed al proprio destino tutti i cosiddetti “poteri forti” del Paese. Oggi sappiamo che sul rafforzamento dell’Esecutivo guidato dall’attuale Premier scommettono Confindustria, Coldiretti, Cisl, i vertici dei maggiori gruppi bancari ed i rappresentanti delle principali industrie, compresa quella Fca (ex Fiat) che ha deciso di delocalizzare le proprie sedi legali e finanziarie per non pagare le tasse al Paese del leader da lei sostenuto.

Insomma, se il dato politico dei primi sei mesi di campagna referendaria è stata la personalizzazione, la seconda fase è quella della contrapposizione tra la casta dirigenziale del Paese e quella parte dell’opinione pubblica del Paese che non dirige un bel nulla e che vive da sudditi e non da cittadini le decisioni e le imposizioni della classe dominante. Il fenomeno, che ha avuto un precedente con la Brexit, potrebbe facilmente trasformarsi in Renxit!


di Arturo Diaconale