martedì 9 agosto 2016
“Diritti civili”, “diritti umani”. Le due espressioni corrono parallele nelle vicende culturali e politiche del ventesimo secolo, a volte anche incrociandosi così da creare qualche ambiguità e indeterminatezza sulle rispettive specificità.
Semplificando, si potrebbe dire che i “diritti civili” sono diritti “storici”, approfondimento e/o correzione - in senso ritenuto più liberale - delle istituzioni di questo o quel determinato Paese già codificate nella legislazione positiva, mentre i diritti “umani” sembrerebbero diritti metastorici, attinenti all’uomo di “natura”, che si muove e agisce attraversando confini, Paesi, legislazioni positive, ecc.; una figura indistinta eppur viva nell’immaginario universale. Credo che a questa categoria ci si riferisca con l’espressione “diritti naturali storicamente determinati”, che ho sentito frequentemente ripetere – anche se non era sua – da Marco Pannella.
“Diritti naturali storicamente determinati”: non dunque l’accredito a diritti “naturali” metafisici e a-storici, secondo la formula del giusnaturalismo alla Rousseau, ma richiamo a “princìpi” che di volta in volta l’uomo, la società, reclama, in una forma solo formalmente utopica e “astratta”. Il diritto alla libertà religiosa va difeso e promosso rimuovendo ostacoli che possano frapporsi - per volontà politica o per insofferenze di tipo fondamentalista - in un determinato Paese, ma il diritto alla vita - non sempre evocato e rispettato, purtroppo - è inteso come universale, metastorico, prescindente da nazionalità, razza o religione. Ho troppo semplificato? Forse, ma non inutilmente, spero.
Come ho accennato, i confini tra le due sfere di diritti è a volte vago e uno specifico diritto può essere attribuito all’una o all’altra. Certamente, però, le lotte per i diritti “civili” e/o “umani” sono una caratteristica del XX secolo, la loro fioritura come tema di confronto/scontro civile, etico ma soprattutto politico può essere fatta risalire ai movimenti per i diritti civili (appunto) nati in America negli anni Cinquanta. In precedenza erano esistiti movimenti o culture che promuovevano diritti (civili o umani) ma si trattava all’inizio, e lo fu a lungo, di formule dal richiamo astratto, generale. La Rivoluzione francese nacque per rivendicare i diritti dell’individuo, eretto a vero interprete dela storia, ecc., e quindi portatore di diritti naturali (tra i quali venne annoverato il diritto alla proprietà privata). Con le lotte di liberazione nate nei campus universitari americani negli anni Cinquanta del secolo scorso vennero invece messe a fuoco esigenze specifiche, molto determinate, le esigenze di libertà e di equiparazione di minoranze fino ad allora non riconosciute, fossero i neri o le donne o gli omosessuali. Il tutto nel quadro della rivendicazione della pace mentre l’America stava combattendo una delle guerre più disastrose della sua storia, la guerra del Vietnam, non sentita come guerra “giusta” ma come residuo di cultura e di storia colonialista. E non è un caso che l’opposizione più significativa ed innovativa alla guerra fu quella dei monaci buddisti che si davano fuoco nelle piazze, nudi corpi simbolo di pace con giustizia: da loro e per loro nacque in gran parte il movimento antimilitarista “occidentale”, non comunista ed anzi anticomunista che i radicali pannelliani importarono in Italia.
Le lotte per i diritti civili ed umani hnno per la prima volta messo in discussione e respinto il concetto e la possibilità di un diritto positivo da considerare intangibile. Con i diritti civili e/o umani il soggetto uomo è venuto prendendo sempre più confidenza con se stesso, rifiutando alle radici la pretesa assolutista del diritto codificato, ma ponendosi a sua “alternativa”. Attenzione: quel che veniva respinto non era lo Stato, come chiedeva, più o meno apertamente, l’individuo illuminista, ma le pretese ingiuste e inaccettabili dello Stato. Allo Stato quei movimenti chiedevano anzi di collaborare, di essere rispettoso, lui, delle proprie leggi, delle leggi dell’umanità. Nei momenti estremi, questa esigenza di un diritto che tenesse conto precipuamente il nuovo soggetto, ha assunto atteggiamenti che hanno toccato punte coraggiosamente e rischiosamente provocatorie, come ci hanno mostrato in un lontano passato gli obiettori di coscienza della cultura americana protestante, e in tempi a noi vicini le simboliche foto di rivoltosi che bloccavano con il loro corpo un carro armato. Fotografie celebri – quella scattata a piazza Tienanmen – che hanno mosso la simpatia universale nei confronti dell’inerme individuo che si opponeva all’anonima forza bruta posta a difesa della legge, della “norma” positiva. Qui parliamo di “soggetto” più che di individuo. L’individuo di estrazione illuminista reclamava alcuni “diritti” generali ma anche generici. Il soggetto/protagonista delle lotte contemporanee ha quei diritti che si sarà conquistato con le sue forze, esponendosi personalmente, con il suo corpo, simbolicamente affratellato con il corpo del monaco buddista vietnamita. L’individuo illuminista rivendicava diritti in nome dell’umanità, il soggetto contemporaneo si batte innanzitutto perché lui stesso, nella sua persona, possa ottenere quei diritti che ritiene gli competono. Dietro il suo singolare esempio e le sue lotte anche altri potranno godere dei diritti conquistati. Nasce qui, ora, un nuovo rapporto tra il singolo e lo Stato. I diritti (storicamente deteminati...) vengono “contrattati” volta per volta dai due interlocutori, non pregiudizialmente ostili reciprocamente. Questa prassi è figlia, ci se ne renda conto o meno, di una vera e propria teoria dello Stato e della società, e vede progressivamente ampliarsi la piattaforma delle rivendicazioni. Oggi non è più solo questione di diritti civili da inserire nelle diverse legislazioni, sempre più potente si avverte l’esigenza non solo di nuovi e approfonditi diritti “umani”, ma della collocazione di questi diritti nel quadro di istituzioni nuove, che superino i confini delle vecchie forme nazionali, ma comincino a prefigurare il formarsi di una istituzione legislatrice “universale”.
Marco Pannella è il politico che meglio ha incarnato le lotte per i diritti moderni. La campagna per il Diritto umano universale alla conoscenza è l’ultima, adeguata e puntuale risposta ai problemi e alle sfide del nostro tempo globalizzato. Si colloca senza soluzione di continuità sulla scia delle grandi campagne per i diritti civili e umani – per la vita del diritto, per il diritto alla vita – che hanno per oltre mezzo secolo contraddistinto i radicali pannelliani rispetto a tutte le altre forze politiche, individuandoli come unica “alternativa” al regime partitocratico. Al di là dei singoli obiettivi – dal divorzio all’aborto alla responsabilità civile dei magistrati – quei radicali ponevano ogni volta al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica il tema del diritto e dei diritti della persona, nella sua concreta – direi corporea – individualità. Ma perché l’iniziativa, la campagna, potesse efficacemente dispiegarsi, occorreva prioritariamente aprire un confronto con le istituzioni e le strutture dell’informazione: “strappare” la notizia, costringere all’informazione l’avversario con i suoi “media”, sfidare la diffidente inerzia o l’aperta ostilità delle istituzioni, rivendicando l’einaudiano “conoscere per deliberare” divenne, per quei radicali, il primo compito da affrontare, il primo dei diritti da conquistare. Era la pratica della attiva non-violenza, essenziale alla teoria come alla prassi di quei radicali, di Pannella.
Oggi questa esigenza è divenuta, persino al di là della presenza radicale, esigenza universale, che si manifesta in forme nuove, anomale, anche insufficienti, debitrici spesso del “web” ma anche contenuto di grandi, tortuosi movimenti di massa che hanno saputo spesso varcare i confini, le barriere tra i popoli e le nazioni. Il Diritto umano alla conoscenza è oggi un “prius”, è l’agenda politica centrale, universale, del nostro tempo. Tutto il resto è accademia, fuga dalla concretezza delle proprie responsabilità etiche e politiche.
di Angiolo Bandinelli