sabato 6 agosto 2016
Diciamocelo almeno inter nos: la Prima Repubblica lottizzava, ma non lo faceva di nascosto. Soprattutto, almeno per la Rai, ne aveva codificato lo strutturalismo partitico in quanto proiezione della politica dentro un’azienda pubblica. Come? Semplice: attribuendo le tre reti ai principali partiti di allora, cominciando dal “Partito più partito di tutti”, quello comunista, che stava all’opposizione. Questa logica cosiddetta spartitoria si rifletteva ovviamente nella direzione dei rispettivi telegiornali. Nessuno aveva di ridire, salvo gli emarginati da questo grande gioco comunicativo pubblico, anche se il Pci di Enrico Berlinguer e seguenti, appena gli faceva comodo, sollevava la leggendaria questione morale. Lo faceva allora, e lo fa pure oggi. Ma se ne seguiamo le giravolte, le soprese di adesso (con il post-Pci governante) confermano, se ce ne fosse ancora bisogno, che quella questione non era e non è diversa dal classico gioco delle tre tavolette. Altro che grande gioco, vivaddio!
La controprova di questa sorta di doppia o tripla morale (lasciamo dunque perdere la relativa questione) sta nelle dichiarazioni di alcuni membri pidiessini dimissionari dalla Commissione parlamentare di Vigilanza, per protesta contro le nomine del direttore generale e, soprattutto, contro la sostituzione di Bianca Berlinguer alla guida del Tg3. Protestare è naturalmente legittimo, anzi doveroso allorquando ci si sente deprivati di un diritto o, quantomeno, di un’aspettativa tampone, di un rinvio, chessò, di un pretesto valido per prendere tempo. E ce ne erano, e sono attualissimi e pure validissimi, fra cui la mancata discussione del mitico documento Verdelli sulla non meno mitica offerta, o progetto che dir si voglia, su informazione, comunicazione ecc.. E la stessa Commissione parlamentare, per di più presieduta dall’ex sfasciacarrozze istituzionali, il pentastellato Roberto Fico, ha mostrato all’inclita e al volgo, la sua sostanziale inutilità prestandosi non al grande gioco comunicativo pubblico, ma ai diktat di Antonio Dall’Orto, su ispirazione, dicono sia i boatos che i fatti, di Matteo Renzi.
Se si fosse fermata qui, la protesta avrebbe per lo meno segnalato un impegno critico ma pur sempre progettuale e costruttivo. Invece, come si dice, il diavolo tentatore ci ha messo la coda proprio nel parlare del Gotor dimissionario laddove, a proposito del diktat, delle nomine e delle esclusioni, ha evocato l’attualità di Berlinguer, padre di Bianca, il teorico osannato della questione morale contro la partitocrazia di allora che “occupava abusivamente e con arroganza lo Stato praticando una lottizzazione spartitoria da basso impero”, cioè lottizzava a destra. Ma pure a manca, come non può sfuggire ad un intellettuale come Gotor: fu proprio la figlia dell’allora segretario del Pci ad andare a dirigere il terzo telegiornale. Che spettava al Pci. Intendiamoci, la Bianca è stata ed è un’ottima professionista, ma le cose allora andavano così. E oggi?
Oggi è peggio di allora, molto peggio, non fosse altro perché fra il dire e il fare di una certa policy, in primis del Partito Democratico, c’è una bella differenza. Dire infatti, come ha detto il Renzi prima maniera rottamatrice, che la Rai aveva assolutamente bisogno di un intervento risolutivo con un no all’interventismo partitocratico e con un sì a una sua fisionomia tipo Bbc, cioè con una parziale privatizzazione, e poi approfittare di una riformetta per garantirsene una fetta più che consistente, alla faccia del pluralismo, e assicurare con la bolletta della luce il relativo Canone omettendo qualsiasi ipotesi rinnovatrice circa la questione delle risorse pubblicitarie da cui le tivù private traggono l’unico sostentamento, appartiene in tutto e per tutto al gioco delle tre tavolette. Altro che questione morale. Questione di potere. Punto e basta.
di Paolo Pillitteri