martedì 12 luglio 2016
Certo che a vederli così, un po’ casual (Luigi Di Maio a parte) e un po’ in posa in giro per Israele, la delegazione del M5S parrebbe una delle tante “delegatie d’antan” con assonanze sovietiche a spasso per il mondo, a scopi turistico propagandistico. Niente di male e, soprattutto, niente di nuovo sotto il sole, compreso quello cocente di Terra Santa che ne ha viste di tutti i colori. Figuriamoci poi, la delegazione pentastellata. Il punto è che i neopartiti, quelli cioè che spuntano quasi per caso - non è vero che c’entri solo il caso, ma insomma, ci capiamo - e che si ingrossano fino a diventare il secondo o primo partito d’Italia, sono convinti di sapere tutto, di conoscere ogni realtà interna ed esterna, di potere approcciare se non addirittura risolvere ogni problema con la stessa facilità e rapidità con la quale sono cresciuti a dismisura ponendosi, dopo pochi anni, come possibile alternativa a sinistra (a Matteo Renzi) e a destra (a chi? boh...).
Se poi si mettono in viaggio per turismo politico scegliendo il Medio Oriente, che è il Medio Oriente mica l’estremo; e aggirandosi per Israele, che è Israele, e ospiti di quel governo, potrebbe essere questo tour l’occasione per migliorare le proprie, peraltro scarse, conoscenze estere e arricchire lo stesso vocabolario politico, esiguo e sloganistico, ristretto essenzialmente alla magica parola onestà (ripetuta tre volte) col conseguente “via i corrotti, a casa tutti i partiti, in galera i disonesti, ecc”. All’estero non funziona così. Soprattutto in Israele. Ed è subito flop o gaffe che dir si voglia. Che in politica estera è peggio di un errore, soprattutto se voluta. Dire infatti da parte di Di Maio - Premier in pectore e Capo della delegatia - che Israele non concede loro il permesso di entrare nella Striscia di Gaza, governata da Hamas, “dando, con questo un cattivo segnale non tanto per il M5S ma per quello che è l’approccio dello stesso esecutivo israeliano rispetto alla situazione nella Striscia di Gaza e della pace” è peggio di una gaffe, è una provocazione.
Naturalmente l’elegantone Di Maio non poteva e non può non sapere chi è davvero Hamas: che rivendica terrorismi, attua attentati, perseguita cristiani, statutariamente promette lo sterminio di Israele, fa a gara con ogni fondamentalismo islamico e così via. Non solo, ma a quanto pare i Cinque Stelle, a spasso politico per il Medio Oriente, erano informati preventivamente del no del governo Netanyahu a quei permessi negati a una delegazione di Podemos e concessi peraltro assai raramente e, ultimamente a Laura Boldrini in qualità di Presidente della Camera. E allora Di Maio: “Vengo anch’io, che sono un vice della Boldrini”. “No,tu no!”.
L’incidente poteva fermarsi qui, anche perché la visita del M5S in Israele doveva servire a Di Maio, il moderato del gruppo, per accreditarsi in quel mondo e legittimarsi internazionalmente giacché dovrà recarsi più in là negli Usa; invece le dichiarazioni sono proseguite con l’invito a Israele a ritornare a vecchi confini del 67 ritirandosi dalle Alture del Golan (restituendole ad Assad, chissà...) tanto più che, ha specificato Di Maio: “Quando arriveremo al governo riconosceremo lo Stato di Palestina”, detto anche per rassicurare una gran parte dei Pentastellati che non hanno mai nascosto la loro vivace antipatia per Gerusalemme e l’indubbio entusiasmo per Teheran.
Tant’è vero che Alessandro Di Battista, una sorta di responsabile esteri del M5S, ha chiesto con un’interrogazione parlamentare l’interruzione delle commesse militari con Israele spiegando poi sul blog di Beppe Grillo che per capire bene “il conflitto israelo-palestinese significa spingersi indietro fino al 1880 circa quando nell’Europa centrale e orientale si espandevano le radici del Sionismo” a proposito del quale, ha aggiunto il suo collega Manlio Di Stefano (vedi “La Stampa”): “L’11 settembre è stato pianificato dalla Cia americana e dal Mossad, aiutati dal mondo sionista”, te pareva. Mentre alla domanda se Hamas sia per lui terrorista: “È una questione secondaria - ha risposto - in questo contesto. I militanti di Hamas dicono preferiamo morire lottando che continuare a vivere in una gabbia. Per definirli terroristi o meno dovremmo vederli in una situazione di libertà. Cosa che in questo momento non hanno”. Bisogna ritornare indietro molto indietro negli anni per imbatterci in cascami ideologici di un terzomondismo da quattro soldi, frutto di un’ignoranza politica tanto ambigua quanto pericolosa.
Non a caso, come ha dichiarato a “Il Giornale”, il professore dell’Università Ebraica di Gerusalemme, Sergio Della Pergola, rivolgendosi alla delegazione pentastellata: “È sconcertante il livello di impreparazione e di mancanza di cultura storica e politica. Purtroppo non c’è nulla di nuovo: il bagaglio ideologico è quello degli anni Settanta. Ma da parlamentari che arrivano in questa regione ci si dovrebbe aspettare qualcosa di diverso”. E nel Paese dove sono già arrivati, per ora come sindaci, che c’è da aspettarsi?
di Paolo Pillitteri