martedì 5 luglio 2016
Non bisogna stupirsi troppo del modo perentorio con cui la Confindustria del neopresidente Vincenzo Boccia si è schierata in favore del “Sì” nel referendum sulla riforma costituzionale previsto per il prossimo autunno. Gli imprenditori sono naturalmente “governativi” in nome della difesa di una stabilità politica concepita come condizione indispensabile per la stabilità economica, la tranquillità sociale e il buon andamento degli affari e delle attività industriali. Ed è normale che in una situazione politica terremotata dai risultati delle recenti elezioni amministrative l’associazione degli industriali italiani manifesti la propria preoccupazione per l’eventualità di un più devastante terremoto in occasione del referendum.
Ciò che invece è anormale e suscita una forte perplessità è il modo con cui Confindustria, attraverso il suo Ufficio Studi, ha manifestato la propria aspirazione alla stabilità politica ed economica e la propria vocazione naturale al fiancheggiamento del Governo in carica. Confindustria non ha spiegato le ragioni del “sì” ma ha denunciato i pericoli del “no” alla riforma costituzionale. E lo ha fatto con un tono apocalittico teso a rendere chiaro all’opinione pubblica che senza riforma il Paese finirà nel caos perché la conseguente crisi di governo spianerà la strada alle elezioni anticipate e dimostrerà che “dopo Renzi le déluge”.
Nessuno dubita che il paragone con Luigi XIV possa far piacere al Premier. Ma non è detto che il catastrofismo dei tecnici di Confindustria, definito anche “allarmismo pedagogico”, dopo aver titillato l’ego di Renzi aiuti il Governo a vincere la battaglia del referendum. Nella presa di posizione dell’associazione di Vincenzo Boccia c’è la stessa personalizzazione esasperata che il Presidente del Consiglio ha inoculato nella campagna referendaria e che sta provocando una sorta di rigetto generalizzato non solo tra le diverse forze politiche ma anche tra la stragrande maggioranza degli elettori.
Non c’è bisogno di far parte di un ufficio studi per sapere che Renzi non è Luigi XIV e dopo di lui non ci sarà il “diluvio”, ma il corso naturale della politica nazionale. A questo errore se ne aggiunge un secondo che sembra fatto apposta per aggravare le difficoltà del Governo nella campagna referendaria. Nel libro dell’Apocalisse secondo Boccia, infatti, si demonizza il normale meccanismo della democrazia trasformando la sostituzione di un Governo con un altro, l’eventuale ricorso alle elezioni anticipate ed i risultati della consultazione elettorale in un orrido fantasma da esorcizzare ad ogni costo.
Certo, il massimo della stabilità di un Paese si ottiene quando non si celebrano più elezioni dai risultati incerti. Ma neppure il “sì” al referendum può garantire l’eternità all’Esecutivo di Matteo Renzi. Morto un Governo ne nasce un altro. È la democrazia! Ed anche Boccia l’Apocalittico se ne deve fare una ragione!
di Arturo Diaconale