mercoledì 22 giugno 2016
Alla vigilia del voto nelle principali città italiane si dava per scontato che dal risultato sarebbe uscito un nuovo assetto del centrodestra fondato sulla prevalenza delle forze d’ispirazione lepenista su quelle di orientamento liberale e popolare. Sulla base di questa previsione Roma è stata trasformata nel banco di prova del passaggio forzato di consegne della leadership del fronte dei moderati da Silvio Berlusconi a Matteo Salvini. E Milano, per reazione, è diventata il terreno di sperimentazione di un progetto politico opposto fondato su una federazione di tutte le diverse componenti dell’area aggregate attorno ad un candidato sindaco di grande esperienza manageriale e di cultura liberalsocialista.
Il risultato del voto ha brutalmente bocciato l’operazione romana e ha reso evidente che il centrodestra può tornare ad essere competitivo con la sinistra e con il Movimento Cinque Stelle solo se dà vita ad una federazione rinnovata nelle idee, nel linguaggio e nei comportamenti e se sceglie come rappresentante un personaggio di estrazione moderata in grado di tenere insieme sia le forze lepeniste che quelle liberali, riformiste e popolari.
Il progetto di Matteo Salvini, in sostanza, ha avuto la stessa sorte del progetto di Matteo Renzi. I due Mattei erano impegnati l’uno a costruire un nuovo centrodestra a guida populista, l’altro a dimostrare l’esistenza del Partito della Nazione. Entrambi sono usciti sconfitti dal voto di domenica scorsa. Renzi ha avuto la conferma di non avere alcuna possibilità di conquistare i voti del centrodestra, neppure agitando lo spauracchio del successo dei grillini. E Salvini ha toccato con mano che dove il centrodestra ha un baricentro spostato sull’estrema lepenista si divide e perde e dove riesce a rimanere unito attorno ad un esponente moderato capace e nuovo torna ad essere competitivo e, in qualche caso come Trieste e Grosseto, vincente.
È logico chiedersi se e come i due Mattei recepiranno la lezione elettorale. Ma è ancora più logico sottolineare come sia molto difficile che le reazioni personali possano modificare la volontà popolare. È la democrazia!
di Arturo Diaconale