L’omicidio di Jo Cox e la ragion di stato

sabato 18 giugno 2016


L’omicidio dell’inerme deputata laburista inglese Jo Cox non può non riportare alla mente le ultime profezie politiche di Marco Pannella a proposito della transizione, troppo lenta, dalla ragion di stato allo stato di diritto.

Ieri Alessandro Sallusti nel proprio editoriale su “Il Giornale” faceva notare che un pazzo alla bisogna si trova sempre: è stato così per gli omicidi di Umberto I nel 1900 o del granduca di Sarajevo nel 1914, ma anche dei due fratelli Kennedy o di Martin Luther King. E anche Ronald Reagan nel 1981 si salvò per miracolo. In Europa a cento anni di distanza non abbiamo trovato nulla di meglio da fare, per celebrare l’anniversario dello scoppio della Prima guerra mondiale, che creare le premesse politiche ed economiche per il ripetersi di un analogo luttuoso e catastrofico evento. Parafrasando un noto libro uscito per ricordare cosa era l’Europa dell’epoca, siamo diventati di nuovo degli “sleepwalkers”, cioè dei sonnambuli che vagano e si aggirano come fantasmi nella waste land di Eliotiana memoria. Certi morti ammazzati eccellenti sembrano fatti apposta per  diventare martiri e leggende. Ad esempio la Cox è oggettivamente una martire della guerra ideologica per la cosiddetta “Brexit”. E della pazzesca campagna referendaria che si sta svolgendo nel Regno Unito tra populisti  e governativi. Probabilmente anche la Regina, last minute, dirà la sua perché gli interessi in gioco sull’uscita della Gran Bretagna dall’area europea sono superiori anche alla dimensione continentale dell’evento.

Da giorni, tanto per dirne una, l’oro naviga sui 38 euro al grammo, con un balzo dai 30-31 su cui era assestato dal 2012. In tutto ciò la ragion di stato, che non sempre agisce come la “Spectre” di Ian Fleming  o con gli omicidi mirati dei droni ai danni dei terroristi o con esecuzioni extra giudiziali di persone pericolose per gli Stati da parte dei Servizi segreti, ma semplicemente si limita a gestire il caos preesistente (un po’ come accadde in Italia negli anni Sessanta-Settanta con la strategia della tensione e il terrorismo marxista-leninista delle Br e ancor prima di Giangiacomo Feltrinelli), finisce per diventare “la ragione degli statisti”, cioè di coloro che lo Stato reggono pro tempore. E che vorrebbero continuare a farlo senza troppi scossoni. Il risorgere dei nazionalismi in Europa fa paura oltre che orrore, ma il governo sovranazionale o transnazionale sognato da Pannella, e ancora prima da Altiero Spinelli o Ernesto Rossi, è ben al di là dal venire. Finora tra Onu, tribunali internazionali dell’Aja o di altre sedi, per non parlare degli interfaccia economici della governance globale come il Fmi o la Bce, l’unica ragione di diritto sempre garantita è stata quella del più forte. O del vincitore.

La transizione allo stato di diritto dalla ragion di stato per cui Marco Pannella, insieme a Matteo Angioli e Laura Hart, si è battuto nell’ultimo anno e mezzo della sua leggendaria esistenza per ora è solo un embrione. Tenuto in vita dalle lodevoli iniziative del Partito radicale transnazionale nel mondo ma da nulla più. La rassegnazione globale è diventata il vero nemico da battere: purtroppo la reazione delle masse, ormai trasformate in plebi catodiche e digitali, avviene attraverso l’incanalamento della rabbia, e dell’impotenza nell’incidere su questioni globali, su rappresentanze politiche a dir poco inquietanti: dal felpato Matteo Salvini in Italia a Nigel Farage in Gran Bretagna passando per la famiglia Le Pen in Francia. Ovvero il rimedio peggiore del male. Lo stesso riflesso pavloviano messosi in moto durante, ma anche prima e dopo, la Grande Guerra. E la storia quando si ripete così, anche a cento anni di distanza, pure se ha tutte le sembianze di una farsa, sempre sarà foriera di nuove tragedie. Dove c’è strage di legalità e di diritto e dove nessuno osa impedirla presto ci sarà strage di esseri umani. È solo questione di tempo. E non ne abbiamo neanche tanto.


di Dimitri Buffa