mercoledì 8 giugno 2016
Matteo Renzi ha un problema che si chiama Milano. Detta così, sembra una battuta postelettorale o un modo spiccio per liquidare una questione locale. No. Intanto la questione non è locale perché si chiama Milano e poi perché uno dei problemi per Beppe Sala, ovverosia del candidato più lanciato dal centrosinistra, si chiama Renzi. Insomma, di dritto o di rovescio, il povero Matteo c’entra sempre, a Milano. Non foss’altro perché - interrompono gli analisti più tignosi - è stato Renzi a scegliere, non diciamo ad imporre, quel candidato; e proprio “aqui esta el busillis”, chioserebbe il divino Alessandro Manzoni. Qui, in questo primigenio battesimo risiede se non la ragione certamente una delle ragioni che hanno reso complicata la storia elettorale di Sala. Eppure la “benedizione” renziana aveva dalla sua notevoli ragioni, non ultima quella del successo di un’Expo a sua volta aiutata da Renzi (ma ottenuta da Letizia Moratti) che è servita di certo a dare una spinta all’insù per la città - lodata e amata per decenni anche dalla sua insuperabilmente fascinosa Fiera Campionaria - contribuendo a instillarne un’ottima dose di buonumore, caratteristica che fa sempre del bene a una metropoli che già, di suo, ha una storica solidità economico-finanziaria (persino nelle banche, altrove disastrate, dove spicca la luminosa certezza della Fondazione Cariplo guidata con polso fermo e lungimiranza lombarda da una roccia di nome Giuseppe Guzzetti), oltre a un profilo estetico che la sua skyline marchia come simbolo modernizzante, forse unico in Italia.
Il marchio, ecco. Questo segno lasciato sulla candidatura di Sala da un Premier un anno fa in pieno surmenage attivistico non ha giovato molto al candidato sindaco del centrosinistra, nella misura in cui quella specificità ha spinto la sinistra a costituirsi in movimento “altro” dal centrosinistra, per di più dividendosi. Unita tuttavia dall’antipatia per Renzi questa sinistra non solo non è riuscita a raggiungere i successi di cinque anni fa decisivi per Giuliano Pisapia, ma ha ulteriormente contribuito a disperdere consensi. I consensi, appunto. Cominciando dai quartieri periferici, per dire (anche se è tipica di Roma l’anomalia di una sinistra che perde nelle periferie e vince nei quartieri alti), e l’esempio a Milano di Niguarda, già roccaforte della “gauche” passata al centrodestra mentre la zona di Montenapoleone è saldamente nella mani della sinistra, la dice lunga. Ma i problemi di Renzi a Milano saranno ancor più pungenti e urgenti qualora il “suo” Sala, che poche ore fa ha tentato di allontanare da sé il pericoloso bacio renziano, perdesse la “bella” con Stefano Parisi il cui successo al primo turno è tanto più segnalato quanto più lo era quello mancato di Sala. Perdere Milano, che guaio per il Premier. Ma non bisogna mai correre troppo, giacché sia Parisi, oggi finalmente con un sorriso liberatorio, che Sala ,con qualche attacco nevrotico, sono praticamente alla pari e, dunque, la lotta è quanto mai aperta sebbene il clima intorno a Parisi sia ottimisticamente collegato alla resurrezione di Forza Italia che doppia in città la Lega Nord di un Matteo Salvini, allora speranzoso nel doppio uppercut milanese e romano, mentre adesso deve stare attento al suo interno dalla moderazione di un sornione Roberto Maroni. Ma ne riparleremo.
Ancora la sinistra che perde i colpi a Milano. Non ci piace mai ripeterci, ma notammo subito che la rinuncia di Pisapia a ripresentarsi non soltanto era in un certo senso stupefacente ma, politicamente, gravida di serie incognite per il futuro della coalizione. Non va dimenticato che lo scontro al primo turno nel 2011 fra Pisapia e Moratti vide la seconda perdere di oltre 40mila voti sul primo: 40 per cento sul 41 per cento, mentre oggi la distanza fra Sala e Parisi non è nemmeno di un punto, ovvero di circa 5mila voti. Pisapia avrà avuto più che una buona ragione per starsene alla finestra, e lo capiamo. Molto meno si capisce la sinistra meneghina, a cominciare dalla “sua” Francesca Balzani lanciata nell’agone primarie poi rientrata lasciando tuttavia un terreno a dir poco minato per Sala. Furono infatti le pesanti perplessità “morali” sulla gestione Expo a caratterizzare negativamente le primarie offrendo per di più al centrodestra altre occasioni per attaccare Sala. Una sorta di autorete che si è trasformata, ora, sia in una riduzione numerico-elettorale delle due sinistre, sia in un calato entusiasmo nella coalizione di centrosinistra. Che fare, allora, per un progetto vincente cinque anni fa in nome del cambiamento e ora in difficoltà proprio per quella stessa motivazione che ha soffiato favorevole nelle vele di Parisi? Che è, infine, il vero artefice di questo primo successo di un centrodestra non poco sbrindellato, in nome e per conto della continuità di un riformismo ambrosiano (portato avanti da un nativo di Roma...) che ci piacerebbe vincente al ballottaggio, come un passaggio musicale intonato al moderato cantabile. Ma, attenzione, non sarà una passeggiata. E nemmeno una cantata.
di Paolo Pillitteri