Spending review del... piffero

giovedì 2 giugno 2016


Roberto Perotti, ennesimo commissario alla spending review costretto a fare le valigie, ha spiegato nel corso di Piazzapulita le ragioni che lo hanno condotto ad emulare il gran rifiuto del suo illustre predecessore, Carlo Cottarelli.

In estrema sintesi, potremmo riassumere la scelta dell’economista bocconiano con una insuperabile difficoltà a mettere la propria firma sotto una revisione della spesa del piffero, visto che a condurre le danze in questo disgraziatissimo Paese c’è proprio un pifferaio magico. Contrapposto ad un renziano dell’ultima ora del calibro di Gennaro Migliore, il quale anche in questo frangente ha dato prova di grande equilibrismo politico, Perotti ha espresso amaramente l’impressione, da molti veri liberali condivisa da tempo, di un Governo che avrebbe deciso di non toccare i tanti punti dolenti di una spesa pubblica colossale soprattutto per mere ragioni elettoralistiche.

E tra i vari capitoli in cui egli ha notato una marcata inerzia da parte dei rottamatori al potere, Perotti ha indicato il mare magnum delle aziende partecipate, delle quali in oltre 3mila casi non se ne conoscono neppure i bilanci, e gli stipendi dei dirigenti appartenenti a tutti i livelli della Pubblica amministrazione. Sottolineando che in Italia tali stipendi spesso sopravanzano in modo scandaloso quelli dei pari grado di Paesi più ricchi e produttivi del nostro, l’ex commissario ha implicitamente tacciato di immobilismo l’Esecutivo che doveva rivoltare lo Stivale come un calzino.

D’altro canto, lo stesso Perotti aveva esordito dicendo di essere stato chiamato da Renzi con un obiettivo ben preciso: tagliare la spesa per tagliare le tasse. E dal momento che la prima, aggiungo io, è addirittura aumentata sotto il regno di sua maestà il re degli annunci, Roberto Perotti ha concluso tra gli applausi il suo intervento, mettendo in evidenza i rischi di un abbattimento della pressione fiscale fatto in deficit, così come sta cercando di realizzare l’Esecutivo in carica.

Personalmente, avendo compreso prima ancora che egli defenestrasse Enrico Letta la linea gattopardesca di Matteo Renzi, mi stupii molto che un brillante economista come Perotti accettasse di fare lo specchietto per le allodole di un personaggio che poggia il suo successo su due fattori ancora decisivi: la mancanza di una credibile alternativa e una favorevole quanto irripetibile congiuntura internazionale. Eppure all’illustre bocconiano non sarebbe dovuta sfuggire la notevole propensione gattopardesca di un Premier che, proprio dal lato della spesa pubblica, prometteva di cambiar tutto per non cambiare un bel nulla, così come i numeri evidenziati dallo stesso Perotti dimostrano.


di Claudio Romiti