venerdì 20 maggio 2016
Lo schema che si applica è quello rural-militare di conio mussoliniano. Al posto dell’aratro e della spada ci sono la magistratura e la stampa fiancheggiatrice, ma il meccanismo è lo stesso: è la magistratura che traccia il solco ed è la stampa che lo difende.
L’ultimo esempio di questo schema viene dal solco tracciato da Piercamillo Davigo nella sua funzione di presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati e dalla spada di uno dei più ferventi e tenaci moralizzatori mediatici della scena pubblica italiana, cioè dal coautore de “La Casta” e commentatore inquisitorio del Corriere della Sera, Sergio Rizzo.
Davigo, impegnato nel riprendere vent’anni dopo il suo disegno di rigirare l’Italia come un calzino, dichiara che il nuovo solco tra legalità e corruzione non può essere quello del reato penale e delle sentenze di condanna, ma quello della valutazione morale su comportamenti che pur non essendo penalmente rilevanti vanno considerati eticamente “orribili”. E subito sul Corriere della Sera Sergio Rizzo imbraccia la sua spada per difendere la teorizzazione fatta da Davigo della fine della presunzione d’innocenza e dello Stato di Diritto e l’avvento della Repubblica etica, lanciando la richiesta che prima dei processi e delle sentenze sia un codice etico a fissare il confine tra i comportamenti accettabili e quelli censurabili di chi ha responsabilità politiche od amministrative.
Il solco di Davigo e la spada di Rizzo hanno una caratteristica che è un perno indispensabile di un qualsiasi Stato totalitario, ma che è un difetto mortale per qualsiasi Stato di Diritto e qualsiasi democrazia liberale. Attribuiscono il compito di fissare ed attivare il codice etico che dovrebbe precedere qualsiasi giudizio penale a probiviri non meglio definiti. Cioè ad un numero ristretto di persone virtuose a cui delegare il ruolo di guardiani dell’etica e della morale ed artefici di fatto della classe dirigente del Paese.
Chi sarebbero queste persone virtuose? Non c’è bisogno di particolare acume nel presumere che al vertice dei questa casta di illuminati Davigo e Rizzo vedano loro stessi. Il primo a stabilire le regole di un codice dai confini imprecisati e comunque legati alle emergenze di volta in volta prescelte dai supremi. Il secondo a denunciare chi pecca in pensiero, opere ed omissioni a seconda delle necessità e delle circostanze.
Esempi di megalomania e presunzione? Niente affatto. Semplice espressione della normalità di funzionamento del cosiddetto circuito mediatico-giudiziario!
di Arturo Diaconale