La Repubblica delle banane e dei bonus

giovedì 19 maggio 2016


Ciò che sta accadendo in Italia in quest’ultimo periodo varca ampiamente i confini della realtà. Abbiamo un Premier che insieme al suo ministro dell’Economia svolge il ruolo di accattone d’Europa, mendicando a giorni alterni la cosiddetta flessibilità, e nel contempo il suo Governo annuncia il varo di altri bonus e il raddoppio di alcuni di quelli già in essere, come nel caso del cosiddetto bonus bebè.

Ma non basta, pure sul fronte caldissimo delle pensioni, in cui il sistema più oneroso del mondo sta tornando ai livelli di insostenibilità precedenti alla Legge Fornero, la medesima flessibilità - paroletta che per la nostra Repubblica delle banane e dei bonus risulta più virulenta della peste - vorrebbe essere applicata a mani basse. Ovviamente in tutti i casi si tratta di pura e semplice spesa corrente, che nulla ha a che vedere con il rilancio strutturale dell’economia, le cui finalità appaiono nitidamente elettoralistiche.

Non a caso tra poche settimane si vota in 1.363 comuni, tra cui Roma e Milano, e pur trattandosi di elezioni amministrative parziali, queste ultime assumono un grande valore di riferimento per il surreale referendum ad personam di ottobre sulle riforme costituzionali, fortemente voluto dal capataz di Palazzo Chigi. Ed è ovvio, pertanto, che con la posta in gioco della sopravvivenza politica di Matteo Renzi, da qui in avanti la disastrosa condizione sistemica di un Paese devastato dalle tasse, dalla spesa pubblica e dai debiti non può che peggiorare. Sotto l’ombrello protettivo della Banca centrale europea di Mario Draghi, il quale ci consente di continuare a chiedere prestiti a tassi ridicoli, malgrado l’inarrestabile crescita del debito pubblico, ogni scelleratezza finanziaria può essere commessa da chi occupa la stanza dei bottoni. Soprattutto, occorre dirlo forte e chiaro, quando la cifra politica dell’attuale opposizione non si discosta molto, se non in peggio, dalla linea dei pasti gratis sempre più perseguita dai rottamatori del buon senso al potere.

Capisco che in un Paese sempre più confuso, in cui buona parte dei cittadini-elettori sono indotti a pensare che sarà sempre qualcun altro a pagare il conto, sostenere una linea autenticamente liberale appare cosa molto ardua. Tuttavia, tanto a livello nazionale che locale, ci deprime molto dover constatare che oramai la concorrenza politica si basa essenzialmente su nuove e irresponsabili promesse di redistribuzione senza soluzione di continuità. Sotto questo profilo la politicaccia italiana, specchio fedele di un Paese fallito, vive una perenne campagna di saldi rigorosamente finanziata coi quattrini degli altri. Ma prima o poi il conto qualcuno ce lo porterà.


di Claudio Romiti