L’affare Pizzarotti

martedì 17 maggio 2016


Umanamente provo una certa solidarietà per il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, sospeso “a divinis” dal Movimento Cinque Stelle. L’ho sempre considerato il più civile e presentabile esponente di un non-partito in cui, come dimostra la sua vicenda, prevalgono gli esagitati con poche e confuse idee e i furbetti sempre pronti ad allinearsi con chi comanda veramente dentro codesta forza politica. Ma proprio perché si tratta di una persona che dall’inizio della sua elezione ha cercato di ragionare con la propria testa, entrando da tempo in conflitto con Beppe Grillo e il suo bislacco direttorio, era inevitabile che alla prima occasione il politburo della Casaleggio Associati, o staff di Grillo che dir si voglia, avrebbe silurato l’uomo che, con la sua imprevista vittoria nel comune di Parma, ha fornito una spinta formidabile alla successiva avanzata del non-partito degli onesti.

Tuttavia è proprio il fatto di non essere un partito, come riportato a caratteri d’oro nel suo non-statuto, poneva e tutt’ora pone problemi che nessun Pizzarotti, per quanto brillante possa risultare la sua figura politica, potrà mai riuscire a risolvere. Il M5S, interpretando in modo ancor più restrittivo di chiunque altro una certa tendenza della nostra politica a creare partiti e movimenti in senso proprietario, non possiede neppure uno statuto degno di questo nome a cui appellarsi. Al posto dei congressi e delle riunioni degli organi dirigenti si celebrano gli spettacoli del “garante” Grillo.

Da quel che si comprende nel mare magnum di proclami altisonanti e parole d’ordine all’insegna dell’onestà, il citato direttorio costituisce l’unico collegamento politico e organizzativo tra il misterioso vertice e la base dei quadri intermedi e dei militanti. Ovviamente sotto un simile regime di ferro, giustificato dalla necessità di evitare infiltrazioni maligne, non può esistere né la possibilità di strutturare una minoranza organizzata e né, cosa ancor più grave, alcuna forma di civile dissenso, come dimostrano le numerosissime espulsioni che hanno costellato fin qui la breve vita del M5S.

Tutto, in estrema sintesi, viene deciso e messo in atto sotto l’inflessibile controllo di un blog il quale, da un momento all’altro, può pubblicare la messa in mora di qualunque grillino eletto e, elemento fondamentale, inibirgli ai sensi di legge di utilizzare il simbolo elettorale del movimento. Sotto questo profilo appare quanto mai patetico il tentativo operato dallo stesso Pizzarotti, con l’evidente intento di non rompere definitivamente coi veri padroni del M5S, di addossare la responsabilità della sua espulsione al membro del fantomatico direttorio, Luigi Di Maio, ufficialmente delegato a tenere i contatti con i sindaci grillini. Tanto è vero che, rispondendo in tivù ad una domanda di Tommaso Labate circa le responsabilità di Grillo nella sua sospensione, Pizzarotti ha risposto con un esilarante: “È stato consigliato male”. Con ciò emulando in qualche modo il pensiero dei tanti comunisti convinti finiti nei Gulag i quali, anche per alleviare la propria pena, molto spesso pronunciavano una frase rimasta nella memoria collettiva: “Ah, se solo Stalin lo sapesse!”.

Caro Pizzarotti, oramai anche i bambini hanno compreso che nel M5S non si muove foglia che il blog di Grillo non voglia. Se ne faccia una onesta ragione.


di Claudio Romiti