La “zona franca” per certi sindaci

venerdì 13 maggio 2016


Che fortuna per il sindaco di Napoli! Che pacchia! Come è bello fare il primo cittadino all’ombra del Vesuvio! Sembra, e lo è, un sindaco diverso. Una diversità sui generis, tipicamente italica e che condivide con altri sindaci, come a Livorno e a Parma. Sono diversità per così dire analogiche perché i grillini Filippo Nogarin e Federico Pizzarotti gestiscono realtà amministrative distinte e distanti da quella napoletana di Luigi de Magistris. Ma c’è un dimensione che li accumuna e che, per comodità dei lettori, chiameremo la “zona franca”.

Cominciamo da Napoli. Dove, come sappiamo, il primo cittadino ha recentemente rappresentato la classica sceneggiata napoletana con urla e improperi soprattutto nei confronti di Matteo Renzi. Non vogliamo entrare nel dibattito sui perché “politici” di quella impressionante scenata comiziante, dopo la quale sarebbe forse stato opportuno il controllo antidoping del mattatore. In questa sede poco interessano i dissensi fra costui e l’altro, non meno mattatore, che abita a Palazzo Chigi. Al limite, potremmo concordare con Gad Lerner che sul suo blog ha definito quella sceneggiata degna di un novello Masaniello, né più né meno che un spot per Renzi. Il fatto è che l’attuale sindaco napoletano si muove, agisce, amministra e, infine, recita, su un palcoscenico speciale, su un set simile ad una piattaforma che ben può considerarsi una zona franca. Uno spazio, insomma, nel quale può muoversi a suo piacimento indifferente a qualsiasi appunto anche e soprattutto perché pochissimi addetti ai lavori mediatici gli ricordano la dura e cruda realtà partenopea. Diversamente infatti da quasi tutti gli altri sindaci che ad ogni pagina violenta cittadina, ad ogni delitto, ad ogni tumulto vengono indicati se non come complici certamente come supremi responsabili dell’accaduto, quello di Napoli non viene mai messo nel mirino, non è mai chiamato a una qualche corresponsabilità nel male che succede. E a Napoli, diciamocelo, di male se ne vede quotidianamente senza neppure il bisogno di una puntata della nuova serie di “Gomorra”, che rimane comunque uno specchio fedele della criminalità giorno dopo giorno.

Se a Milano, Como, Genova, Venezia o Torino accadessero analoghi delitti atroci e ripetitivi, fra i primi imputati politici sarebbero (e sono) chiamati i rispettivi sindaci, e ciò vale per tutti, di qualsiasi colore, specialmente in occasione di disordini causati dalle violente ondate migratorie. I media non sono mai teneri nei riguardi di costoro quando c’è di mezzo l’ordine non garantito nelle loro città. Arcigni con tutti gli altri, all’infuori che con quello di Napoli. Il quale avrà pure dalla sua l’appunto storico di una città che già oltre un secolo fa sia Matilde Serao che Anna Kuliscioff definivano devastata dalla miseria, anche morale, e dominata dalla camorra. Tra l’altro, Anna Kuliscioff, studentessa universitaria poverissima a Napoli, ebbe la sventura di essere scippata delle ultime venti lire che le erano rimaste. Ma cento e più anni sono tanti ma proprio tanti perché non sia affatto cambiato quel quadro sinistro, e che, anzi, sia peggiorato. E qualche responsabilità, piccola fin che si vuole, dovrebbe assumersela un sindaco, compreso l’ultimo, peraltro votato a furor di popolo in nome e per conto di una rivoluzione arancione della quale si sono visti e sentiti soprattutto i furori comizianti più da filodrammatica che da scranno municipale. Secondo il quale la colpa è sempre degli altri. I ritardi sono del Governo. Quello di ora e di prima e di sempre. E la povertà nella “martoriata e dimenticata Napoli” è endemica, e il disagio giovanile, con relativa criminalità camorristica, ne è la conseguenza.

Insomma, i colpevoli sono gli altri, e loro le vittime. Eccoci alla zona franca di cui parlavamo, a quella specie di extraterritorialità di cui godono certuni. E anche altri, si capisce. Ma, costoro, di tutt’altra specie. Si chiama “zona dell’atto dovuto”. Ne godono, beati loro, i sindaci grillini di Livorno e di Parma raggiunti da avvisi di garanzia che sarebbero costati ad altri le immediate dimissioni, peraltro richieste rumorosamente e spesso scompostamente, proprio dai pentastellati. Intendiamoci, sia Pizzarotti che Nogarin fanno benissimo a non dimettersi sic et simpliciter, parlano di atto dovuto della magistratura attendendo le ulteriori carte dell’accusa, e poi si vedrà. Hanno, in altri termini, invocato e applicato la zona franca, l’extraterritorialità, anzi una speciale zona extragiudiziaria che, ovviamente, vale soltanto per loro pentastellati e non per gli altri. Avranno le loro ragioni, non v’è dubbio. Ma, per carità, non invochino ridicole superiorità morali. Se hanno buone ragioni, le facciano valere adesso che stanno cominciando a capire che ci si deve per forza sporcare le mani a fare quel mestiere. Benvenuti sulla Terra, cari marziani! Il punto è tuttavia un altro, e ci preoccupa molto di più dei loro imbarazzanti e penosi distinguo: loro, quel mestiere non lo sanno fare. Sono degli incapaci, ecco. Questo deve preoccuparci. Per dirla con il bravo regista livornese Virzì a proposito di Nogarin: è una brava persona, lo chiamavamo “bomba”, ma un buono a nulla. In questo senso, e solo in questo, è giusto parlare di diversità: in peggio.


di Paolo Pillitteri