mercoledì 11 maggio 2016
Di seguito l’intervento del direttore de “L’Opinione” e consigliere d’amministrazione della Rai, Arturo Diaconale, al convegno “VinceRai o PerdeRai - Rinnovo della Convenzione: il servizio pubblico rischia tutto”, tenutosi nel pomeriggio di ieri presso la Sala Capitolare della Biblioteca del Senato della Repubblica “Giovanni Spadolini”.
Alla vigilia del voto amministrativo in alcune delle principali città italiane e, soprattutto, in vista di un referendum sulle riforme costituzionali che per scelta di Matteo Renzi sarà decisivo per la propria sorte politica, per quella della legislatura e per il futuro della democrazia italiana, diventa indispensabile definire come debba essere realizzata l’informazione nel servizio pubblico radiotelevisivo. A parole non ci sono problemi. La Rai, è scritto e ribadito in tutte le salse, deve assicurare il pluralismo. Nei fatti, però, l’applicazione di questo principio appare difficile e controversa. E non sono di certo le regole sugli spazi da assicurare alle singole forze politiche o ai comitati referendari che vengono stabilite dalla Commissione di Vigilanza a risolvere la questione. Perché i messaggi politici e culturali non passano solo attraverso i telegiornali o le trasmissioni elettorali, ma entrano in ogni tipo di contenitore e programma che compare su ogni rete o su ogni canale. E stabilire come si debba rispettare il pluralismo in un ambito così ampio e variegato appare un’impresa estremamente ardua.
In passato il criterio adottato è stato quella della lottizzazione rigida. Talmente rigida da prevedere la spartizione tra le principali forze politiche di telegiornali, reti e degli stessi dipendenti del servizio pubblico catalogati per qualifiche, competenze e, soprattutto, appartenenze. Ora si dice che quel criterio sia stato superato. E che alla logica dell’appartenenza imposta dalla lottizzazione sia subentrata quella del puro e semplice interesse aziendale. Ma come conciliare l’interesse aziendale a diventare una media company con il rispetto del pluralismo, che è la ragione per cui la Rai ha un contratto di servizio pubblico con lo Stato ed incassa il canone?
Al momento l’interrogativo è aperto. Anzi, è talmente aperto da suscitare grandi preoccupazioni in tutte le forze politiche, comprese quelle di Governo, sul rischio che l’interesse aziendale diventi una sorta di paravento dietro cui nascondere che al criterio della lottizzazione si è sostituito quello della occupazione dei posti di massimo potere da parte di persone legate tra loro solo da vincoli di conoscenza personale. In questa luce, tutte le nomine fatte negli ultimi mesi sembrano assumere l’aspetto della cooptazione di una filiera di amici provenienti da Mtv, dai giornali di De Benedetti e da certi salotti milanesi. Ed il modello d’informazione che si va determinando nel servizio pubblico sembra diventare quello di un pedestre e scontato conformismo nei confronti del Governo. Per di più realizzato non per adesione al renzismo in auge, ma per banale opportunismo dietro cui celare interessi personali e di lobby.
Ma può la Rai affrontare scadenze decisive per la sorte del Paese e della democrazia italiana con un modello informativo che oltre ad essere equivoco e nebuloso nega di fatto ogni forma di effettivo pluralismo?
di Arturo Diaconale