venerdì 25 marzo 2016
È giustissimo chiedere l’istituzione di una polizia europea in grado di combattere il terrorismo, così come è sacrosanto battersi per una sollecita realizzazione di una legislazione penale comune a tutti i Paesi dell’Unione europea. Utilizzare l’ondata di paura e di sgomento suscitata dagli attentati di Bruxelles per mettere nuovi mattoni sulla costruzione dello stato europeo è un atto di buona e doverosa politica. Ma insieme alla consapevolezza che per battere l’aggressione terroristica non si può tornare all’Europa delle nazioni chiuse e divise dai singoli interessi nazionali ma si deve accelerare il processo di formazione dell’Europa unita, è indispensabile arrivare ad una seconda e forse più importante consapevolezza. L’aggressione del fondamentalismo islamista non si potrà mai battere se l’Europa non saprà dotarsi di una politica estera unitaria.
Fino a quando gli Stati Uniti hanno svolto le funzioni di gendarme dell’Occidente ogni Paese europeo ha perseguito i propri interessi nazionali accettando di buon grado che a quelli più ampi e planetari pensasse l’alleato maggiore. Ma da quando l’amministrazione Obama ha abbandonato la strategia del gendarme mondiale e ha adottato quella della tutela dei soli interessi americani, si è creato un vuoto che aspetta ancora di essere colmato e che ha prodotto tutti gli sconvolgimenti che dal Medio Oriente e dall’Africa si stanno diffondendo in Europa.
Una parte di questo vuoto è stato colmato dall’interventismo della Russia di Putin, una parte dalla Cina ed una parte dai Paesi arabi ricchi di petrodollari e divisi dalla lotta per l’egemonia tra Iran ed Arabia Saudita. Manca la parte che dovrebbe essere coperta dall’Europa. Ed è questa totale assenza di una politica comune di una realtà con un peso economico enorme sulla scena mondiale che si devono gli sconvolgimenti degli ultimi anni. Dalla crisi ucraina, alimentata dal ritardo culturale dell’amministrazione americana e dagli interessi locali dei Paesi dell’Europa continentale, agli sconvolgimenti in Medio Oriente ed in Africa suscitati dallo scontro tra gli sciiti guidati dall’Iran e dai sunniti ispirati e sostenuti dai Paesi del Golfo e dall’Arabia Saudita e dagli interessi particolari e contrastanti tra loro dei singoli Paesi europei.
È in questa luce che l’Europa deve compiere l’autocritica e procedere a quella autoflagellazione che è diventata l’abitudine costante delle proprie caste dirigenti ed intellettuali. Ciò che il mondo europeo si deve rimproverare non è il proprio passato, ma la totale assenza di una presenza politica attuale. Quell’assenza che consente a ciascuna nazione europea di cercare affannosamente di intessere rapporti economici, finanziari e commerciali con i Paesi dei petrodollari ma che impedisce all’Europa di imporre a questi stessi Paesi la condizione di rinunciare a sostenere ed alimentare le infinite forme del terrorismo islamista, sciita o sunnita che sia.
Una volta si diceva che il terrorismo si combatte eliminando i suoi “santuari. Quella regola vale anche adesso. Tanto più che i “santuari” non sono nascosti ma tutti alla luce del sole del Medio Oriente.
di Arturo Diaconale