Il Pd tra scissione ed espulsione

martedì 22 marzo 2016


Matteo Renzi ha minacciato di “fare i conti” con la minoranza interna. E sicuramente dimostrerà per l’ennesima volta che alla direzione del partito può contare su una maggioranza quasi plebiscitaria. Ma il problema della spaccatura del Partito Democratico rimane sempre in piedi. Perché se in direzione il segretario ha la possibilità di bastonare a proprio piacimento i suoi oppositori interni, in Parlamento e nei territori è costretto a vedersela con gruppi di irriducibili per nulla disposti a modificare il loro Dna post-comunista o dossettiano (alla Bindi) per confondersi in un partito del capo dove l’unica identità è quella, oltretutto mutevole, di Renzi.

Nel momento in cui l’ex sindaco di Firenze aveva assunto il doppio ruolo di segretario del Pd e di Presidente del Consiglio si era pensato che la diversità evidente tra un partito conquistato dall’“alieno” ed i gruppi parlamentari prescelti dal segretario uscente e sconfitto, si sarebbe progressivamente cancellata. E che le conversioni al leader e premier tra deputati e senatori si sarebbero moltiplicate fino a rendere uniforme, magari in nome non delle idee ma di capacità di attrattiva del potere, la composizione del Partito Democratico.

Invece, a distanza di tempo, bisogna registrare che le conversioni al renzismo degli oppositori interni sono state inferiori al previsto. E quelli che non si sono convertiti o sono usciti singolarmente dal partito o hanno irrigidito le loro posizioni all’interno facendo addirittura ipotizzare la possibilità di una scissione.

Questa ipotesi, però, è stata smentita da Bersani, da Speranza e dallo stesso D’Alema, che pure l’aveva ventilata. E ora, a dispetto dei “conti saldati” di Renzi, si assiste ad un fenomeno che ha qualcosa di più di quella divisione del partito in correnti separate che era tipica della Prima Repubblica. Il fenomeno è quello del partito nel partito. Cioè di un’organizzazione che non è più solo una corrente che comunque si richiama e si adatta all’unità sulle grandi scelte del partito. Ma è un organismo che si muove come una corrente interna, ma che al momento di compiere scelte di fondo si comporta come se fosse un partito diverso ed antagonista assumendo posizioni conflittuali.

Che la faccenda sia assolutamente anomala è del tutto evidente. Quanto possa durare è più incerto. Di sicuro, però, chi nega di voler compiere la scissione e si organizza come un partito nel partito pone un problema a Renzi. Se vuole sul serio fare i conti con i suoi oppositori non deve sperare che se ne vadano, ma deve incominciare a pensare alla loro espulsione. È vero che un evento del genere non si è mai verificato in passato. Ma c’è un inizio per tutto!


di Arturo Diaconale