sabato 19 marzo 2016
Se le gatte frettolose fanno i gattini ciechi, i parricidi frettolosi rendono ciechi quelli che li compiono. L’esempio di Gianfranco Fini non sembra aver insegnato nulla a Matteo Salvini. Che, come l’ex Presidente della Camera dei deputati ai tempi della spaccatura del Pdl, sembra convinto di aver rottamato una volta per tutte Silvio Berlusconi ma che nei fatti si è limitato a trasformare un padre nobile ancora legato al compito di federare le diverse anime del centrodestra nato nel 1994 in un concorrente destinato a mettergli contro quelle grande area moderata di cui il leader leghista non può fare a meno se vuole diventare il capo dell’alternativa al regime renziano.
Per compiere un parricidio non frettoloso, come quello di Fini, Matteo Salvini avrebbe dovuto incominciare da tempo a passare dalle felpe al doppiopetto lanciando messaggi rassicuranti agli elettori dell’area berlusconiana. Da leader del partito al momento più consistente dello schieramento antirenziano sarebbe diventato automaticamente successore del Cavaliere al momento della sua uscita di scena. Invece ha bruciato i tempi usando le amministrative di Roma, che alla Lega non interessano non solo per motivi vetero-ideologici, ma perché la sua presenza nella Capitale è puramente ideologica, per l’affondo contro il padre nobile. Ed ora se la deve vedere con un avversario a cui da sempre gli attacchi e le aggressioni moltiplicano le energie e che non ha alcuna intenzione di farsi pensionare d’autorità dai rampanti di una destra radicale da sempre minoritaria nel Paese.
È probabile che Salvini non sia affatto cieco e che il suo obiettivo sia proprio quello di scaricare un’area moderata considerata inutilizzabile per il suo progetto di dare vita ad un blocco di stampo lepenista in grado di diventare maggioritario attraverso un travaso di voti provenienti del mondo grillino. In questa luce va inteso il suo annuncio di sostenere i candidati del Movimento Cinque Stelle che dovessero andare al ballottaggio con quelli del Partito Democratico. Ma è proprio questa sua scelta di tentare di fare del populismo di destra un polo attrattore di quello di sinistra che suscita il sospetto di una limitata visione strategica da parte del leader della Lega. Al momento appare molto più facile che sia il polo populista di sinistra ad attrarre i voti di quello lepenista di destra. Non a caso Salvini pensa a dare ai ballottaggi i propri voti ai grillini e non viceversa. Ed anche nei tempi più lunghi appare del tutto improbabile che il blocco lepenista, che tra l’altro non riesce ad espandersi nelle regioni centro-meridionali del Paese, possa arricchirsi dei voti di Grillo e pensare di diventare forza di governo alternativa a Renzi.
Nel frattempo, infatti, il Cavaliere tornerà ad essere rampante e l’area moderata dovrà necessariamente rigenerarsi con nuove energie e nuovi soggetti decisi a non morire né renziani, né populisti.
di Arturo Diaconale