Il “primum vivere” di Giorgia Meloni

giovedì 17 marzo 2016


Il problema di Giorgia Meloni non è se possa o non possa fare il sindaco con il pancione. Il dilemma, figlio della retorica politicamente corretta, è fasullo. Per la semplice ragione che l’ipotesi di vedere la leader di Fratelli d’Italia vincere la campagna elettorale battendo Giachetti, la Raggi, il candidato dell’ultra sinistra (Fassina o Marino che sia) e, soprattutto, Marchini, Storace e Bertolaso (sempre che Forza Italia mantenga il sostegno all’ex Capo della Protezione civile) non si pone neppure.

Giorgia Meloni ed il gruppo dirigente di Fratelli d’Italia sanno bene che per loro non esiste alcuna possibilità di vincere la battaglia per il Campidoglio. Se hanno deciso di combatterla non è per arrivare a governare Roma, ma per rispettare quella regola imperativa di ogni formazione politica che stabilisce il “primum vivere” rispetto a qualsiasi altra opzione. Può essere, come si sostiene da più parti, che la discesa in campo della Meloni sia la conseguenza dell’accordo stipulato con Matteo Salvini per rottamare una volta per tutte Silvio Berlusconi e trasformare il vecchio centrodestra plurale in un blocco di stampo lepenista guidato al Nord dal capo leghista ed al centro-Sud dalla ex ministra della Gioventù. Su questa ipotesi si può discutere. Ciò che invece è assolutamente certo è che la prima e principale motivazione di Giorgia Meloni è rivolta a rinsaldare e rafforzare il proprio partito nella città in cui esso ha il suo principale insediamento e ad allontanare il rischio di subire uno sfaldamento a causa della concorrenza della destra sociale di Alemanno e di quella rimasta legata a Gianfranco Fini unite per l’occasione nel sostenere la candidatura di Francesco Storace.

Per Fratelli d’Italia sostenere il candidato di Berlusconi, Guido Bertolaso, avrebbe potuto significare aprire crepe profonde nel suo elettorato. Con conseguenze fin troppo evidenti sulla valutazione della consistenza nazionale del partito che proprio nella Capitale ha la sua roccaforte. Di qui la scelta del “primum vivere” fatta, appunto, per garantire la sopravvivenza del partito. Naturalmente una scelta del genere comporta anche altre conseguenze oltre quella della difesa del proprio territorio. La principale è la rottura con Silvio Berlusconi e l’accordo di fatto con Salvini per entrare a far parte dell’area lepenista italiana nella condizione di alleato minore della forza egemone rappresentata dalla Lega.

Nel breve questa scelta ufficializza la fine del vecchio centrodestra a guida berlusconiana e la nascita di un blocco di destra destinata da un lato a conquistare alcune frange di Forza Italia, ma dall’altro a provocare una frattura invalicabile con le forze moderate di cultura liberale e democratica che non vogliono morire renziane ma non hanno alcuna intenzione di sopravvivere con il marchio lepenista.

Senza queste componenti non si diventa forza di governo alternativa alla sinistra. Si rimane all’opposizione. Con il rischio che il “primum vivere” serva solo a far rientrare la destra nel vecchio ghetto dell’opposizione di sistema!


di Arturo Diaconale