sabato 12 marzo 2016
A Matteo Salvini non interessa un bel nulla la sorte di Roma. Che la città finisca nelle mani della grillina Raggi o del renziano Giachetti per lui è del tutto indifferente. Al capo leghista interessa il risalto che la Capitale garantisce per avviare quella operazione di rottamazione a livello nazionale di Silvio Berlusconi (ed in parallelo anche di Giorgia Meloni) che lo dovrebbe portare ad assumere la leadership incontrastata del lepenismo all’italiana.
La sua bocciatura della candidatura di Guido Bertolaso non è un atto di sfiducia nei confronti dell’ex capo della Protezione civile e neppure il frutto della convinzione che il candidato voluto dal Cavaliere non sia adeguato alla partita per il Campidoglio. È solo la dimostrazione lampante della sua volontà di approfittare delle amministrative romane per lanciare il segnale che non solo l’egemonia berlusconiana sul centrodestra è finita, ma che lo stesso centrodestra è una alleanza superata destinata a lasciare il campo ad un’aggregazione guidata dalla Lega e formata da tutte le anime del populismo di stampo lepenista presenti nella penisola.
Salvini sa bene che rottamare Berlusconi significa liquidare il centrodestra inteso come schieramento in cui possono confluire tutte le forze moderate avversarie della sinistra. E sa ancora meglio che una parte di queste forze non sarà mai disponibile a partecipare al suo disegno. Ma lui punta non al governo del Paese, ma alla creazione di una grande opposizione di estrema destra simile nelle dimensioni a quella del Movimento Cinque Stelle. E pur di liberarsi del peso del Cavaliere preferisce limitarsi ad avere un 20 per cento di opposizione unita sotto la sua guida piuttosto che far parte di una coalizione del 30 per cento in cui deve fare i conti quotidianamente con un Berlusconi sempre combattivo e con una Meloni diretta concorrente in quanto interessata allo stesso elettorato.
Così a Roma azzoppa Bertolaso nella speranza di costringere la leader di Fratelli d’Italia a scendere in campo direttamente. E lo fa con l’obiettivo evidente di impedire sia al primo che alla seconda di andare al ballottaggio. La sconfitta dell’uno e quella dell’altra lo rederebbero di colpo vincitore sia della sfida con Berlusconi che con quella della Meloni ed in grado di andare avanti più speditamente sul suo progetto di lepenizzazione della Lega. L’area moderata, quella politicamente e culturalmente lontana dal populismo, non può che prendere atto della fine del centrodestra tradizionale. E comportarsi di conseguenza. Anche perdendo l’ala leghista può essere sempre maggioritaria in un Paese dove la vecchia sinistra è più frazionata e divisa della destra!
di Arturo Diaconale