martedì 8 marzo 2016
Matteo Renzi a Barbara d’Urso: “… l’Italia a fare l’invasione della Libia, con 5mila uomini, con me presidente, non ci va”.
E allora cosa aspetta ad andarsene questo cialtrone irresponsabile che si ostina ad anteporre la sua vigliaccheria agli interessi del Paese? Roba da matti! Non si tratta di insultare, ma di argomentare. “Cialtrone”, perché egli cela una patente miopia politica dietro una gigantesca ipocrisia. Sostiene Renzi: un intervento militare in Libia sarebbe possibile solo dopo la costituzione di un governo di unità nazionale molto solido. Ciò è impossibile per la semplice ragione che la Libia, in sé, non esiste. È stata un’invenzione italiana al tempo della colonizzazione per governare territori, strappati all’Impero Ottomano, molto diversi tra loro e percorsi all’interno da innumerevoli frazionismi tribali. Fare appello ad un sentimento identitario di una nazione che non c’è equivale a disquisire del sesso degli angeli. La Libia poteva essere tenuta insieme soltanto da governi coloniali oppure da sanguinari dittatori che assicuravano l’ordine sociale attraverso l’uso repressivo del potere. Come il regime del deposto colonnello Gheddafi. Democrazia, dialogo politico, rispetto dei diritti umani, sono termini incomprensibili in realtà la cui struttura genetica è marcata dal canone della violenza. Quindi, dire che si aspetta la riunificazione nazionale per dare una mano alla ricostruzione del Paese è un falso clamoroso.
Sarebbe più dignitoso ammettere che l’Italia renziana intende abbandonare lo “scatolone di sabbia” al suo destino. Facciano gli altri al posto nostro e ne godano i frutti. “Irresponsabile”, perché decidere di restare alla finestra a guardare non vuol dire evitare che le cose accadano. Dopo l’insensata guerra del 2011 e l’uccisione del satrapo Gheddafi, divenuto improvvisamente scomodo per i sodali europei, i capitribù si sono resi conto di avere tra le mani un’inaspettata fortuna. Liberati dalla presenza di uno stato centrale organizzato, avrebbero potuto arricchirsi facendo alla luce del sole ciò che fino ad allora non gli era stato consentito di fare: i predoni e i contrabbandieri. Il futuro che questi briganti del terzo millennio hanno immaginato per la Libia è quello di un immenso market dove sia possibile commerciare in tutto, dal petrolio alle armi, alla droga, agli esseri umani. Siamo ben oltre il concetto di Stato canaglia: si tratta dell’istituzionalizzazione di un player della criminalità globale. Una prova? La testimonianza dei due italiani appena liberatisi dai sequestratori. Gino Pollicardo e Filippo Calcagno lo hanno detto subito: l’Is di al- Baghdadi non c’entra nulla, a rapirli sono stati i predoni di Sabratha. Tradotto: criminalità comune organizzata, la stessa melma con cui dovremmo discutere di democrazia e di legalità.
Non fermare il caos libico oggi vuol dire mettere a serio rischio la sicurezza del nostro Paese. Cosa accadrà quando, con il buon tempo, le bande di briganti riprenderanno il business dei barconi stracarichi d’immigrati? E quando i narcos colombiani, presenti oggi in Libia, metteranno a regime il traffico degli stupefacenti per il mercato europeo? E quando tutte le mafie dell’Occidente, in prima fila la nostra feccia criminale, andranno ad approvvigionarsi delle armi di cui necessitano per svolgere al meglio i propri traffici criminali? Renzi è terrorizzato all’idea di mandare 5mila militari italiani a fare la guerra. Se avessimo un Governo all’altezza della situazione, altro che 5mila! Ne dovremmo spedire il doppio e tenerceli per una dozzina d’anni, fino alla completa bonifica dell’area. Su una cosa quel codardo ha ragione: la guerra è una cosa terribile. Tuttavia, nell’ora del pericolo una grande nazione può ergersi sull’orizzonte della storia solo grazie al sacrificio dei suoi figli migliori. Non di chiacchiere e di bugie è lastricata la strada della civiltà, ma di sangue. E di onore.
di Cristofaro Sola