Napolitano non fa rima con Berlinguer

martedì 23 febbraio 2016


Grillo e i giardinetti. Napolitano e Berlinguer. E le Botteghe Oscure diventate un po’ più chiare grazie ad una preziosissima opera di scavo di Ugo Finetti - come vedremo - mentre l’inesausto patron pentastellato, che adombra quotidianamente il tema prediletto a Berlinguer, la questione morale, e dall’eloquio decisamente soft e signorile, riserva spesso a Napolitano, Re Giorgio per simpatizzanti e antipatizzanti, già Presidente della Repubblica e ora senatore a vita, le carezze di una piuma, come quella dei piccioni ai quali l’ha invitato a dare il becchime nei giardinetti dei pensionati. C’era di mezzo la politica? Nient’affatto. C’era la leggendaria tessera del Senato dimenticata e ritrovata, manco si trattasse del Codice da Vinci, per quanto sia nota la mania grillina per scontrini, ricevute, tessere, ecc..

Naturalmente Giorgio Napolitano, che prima di essere (stato) un migliorista è un signore, ha opposto un gelido fin de non-recevoir parlando di politica, volando, come si dice, alto, altissimo, sull’Europa di oggi ostile a Matteo Renzi, da conservare sì, ma rinnovandola. Ricordiamo un suo bel saggio sull’amico Altiero Spinelli, un padre nobile dell’Europa. Negli stessi giorni, a Napolitano giungevano le tirate d’orecchio di qualcuno dell’ex Polo a proposito del suo “complotto” per eliminare il Cavaliere nell’annus horribilis dei sorrisi di Sarkozy e Merkel, delle scissioni finiane, della lite con Giulio Tremonti e di quant’altro, Ruby compresa, con gli effetti collaterali, in primis Grillo & Casaleggio. Non pervenuta la risposta dell’ex capo dello Stato.

Il contesto attuale, col suo rissoso rumore di fondo cui il grillismo antipolitico ha messo l’amplificatore, impedisce spesso di risalire alle fonti, alle radici delle questioni centrali, dei suoi protagonisti, e il perché sta proprio nella sciatteria e faciloneria di comodo con cui si archivia il passato, ignorandolo, dimenticandolo e liquidandolo, lasciando un vuoto pneumatico di idee, figuriamoci di ideali, se non di politica.

In questo senso, “Botteghe Oscure, il Pci di Berlinguer & Napolitano” di Ugo Finetti (Edizioni Ares) va davvero a riempire un vuoto, compiendo quell’opera di scavo che consente agli storici autentici come lui di ricomporre il puzzle del passato di cui, quello del Partito comunista italiano e dei suoi personaggi di spicco, sembrava irrecuperabile alla ricomposizione. Il minuzioso e attento lavoro di scavo è stato sommamente agevolato dalla desecretazione (si dice così?) delle riunioni della direzione del Pci, facilitando di certo l’opera del ricostruttore ma, al tempo stesso, costringendo Finetti, e noi, a partecipare alle vere e proprie puntate di un appassionante show totus politicus durato decenni, nei quali unità e diversità, correnti e sensibilità, divisioni e continuismo, si spiegano e si alternano, si confondono e si intrecciano. Ma, alla fine, rendono chiari i termini delle questioni, pur calate dentro la sacralità del totem comunista al quale i sacerdoti supremi, da Togliatti a Berlinguer, da Amendola a Napolitano (da leggere e rileggere il finettiano “Togliatti & Amendola. La lotta politica nel Pci - Dalla Resistenza al terrorismo”) attribuivano una durata millenaria. La miniera nella quale l’autore ci conduce era rimasta per anni trascurata, ma adesso grazie alla lampada di Finetti-Aladino i profili individuali escono dalla indistinzione della penombra, recuperando il senso vero sia dell’appartenenza - altro che autonomia! – all’Ecclesia sovietica intesa come il comunismo che si è compiuto e che “aiuta” i partiti fratelli, sia del continuismo, ovvero la fedeltà al magistero togliattiano, sia del conflitto fra il Berlinguer della questione morale e il Napolitano che la respinge in nome della questione vera, quella politica, fra cui il rapporto col socialismo liberale di Bettino Craxi, diverso perché eretico, contro il quale Berlinguer scatenerà una guerra micidiale che continuerà anche dopo la morte sua e del Comunismo. La conflittualità interna alla Chiesa di Botteghe Oscure c’era, eccome. E gli interventi al tavolo della direzione del Pci confermano l’esistenza di una destra e di una sinistra, laddove la destra di Napolitano e dei suoi non numerosi miglioristi, costretta all’esterno a diplomatizzare, a mimetizzarsi da “homines togliattiani molto continuisti”, fronteggia la maggioranza berlingueriana “in dibattiti netti, espliciti, drammatici”. Sicché la discesa nella miniera del Pci diventa, grazie a Finetti, un’incalzante cavalcata su dissensi interni e unità di facciata. Napolitiano sarà pure Re Giorgio, ma un re in minoranza e mai assurto al trono di Botteghe Oscure. Quando mai!

Forse la storia della sinistra (del socialismo italiano) non sarebbe andata così. La presunta diversità morale berlingueriana spacca il partito, ma solo in superficie, così come la voglia di socialdemocrazia europea della destra, prima di Amendola e poi di Napolitano, resta sommersa, minoritaria, nel mentre che si infiamma all’estrema sinistra il “Manifesto” scissionista sulla scia della contestazione sessantottina e i carri armati entrano, a Praga ed a Varsavia, e il pugno di ferro picchia forte su “Solidarność”. Ferma e costante fin dall’invasione dell’Ungheria del 1956 (recuperando meritevolmente, da Ugo Finetti, il ricordo di un indimenticabile Guelfo Zaccaria) resta l’adesione al soviettismo, non più, forse, “perinde ac cadaver”, ma trepidamente in attesa (almeno fino al 1980 e oltre) dell’aiuto fraterno del Pcus alle casse di Botteghe Oscure. Aiuti fraterni dall’entità miliardaria, si capisce, e nota a tutti, e discussa nelle riunioni di direzione. E vabbè.

Ugo Finetti, già vicepresidente della Lombardia, giornalista e scrittore, direttore della gloriosamente riformista “Critica sociale”, tanto corretto e brillante quanto implacabile e impietoso esploratore dei sotterranei comunisti, aveva già affrontato questo e altri temi in “La Resistenza cancellata” (2003). E lo ha fatto sine ira ac studio come si evince in altri contesti storici frequentati, sia ne “Il caso Tobagi” che “La storia di Craxi” (2009), che rimane fra le più lucide, complete e importanti biografie politiche di un leader socialista cui aveva sempre guardato con attenzione e rispetto Re Giorgio. No, decisamente Berlinguer non fa rima con Napolitano.


di Paolo Pillitteri