Salvini, fare Giustizia

venerdì 19 febbraio 2016


Le polemiche innescate da Matteo Salvini, il quale, nel corso di un intervento al congresso piemontese della Lega, ha definito “una schifezza” la magistratura italiana, hanno finalmente riaperto, anche su questo fronte dello schieramento politico, la discussione su un tema di importanza primaria in un Paese democratico.

Certo, la frase era scomposta e sintetizzava malamente una questione che meriterebbe, anche in quel partito, ben altra attenzione e ben altri toni. Affermare che la magistratura è “una schifezza” non rende giustizia a niente e a nessuno e rischia, purtroppo, di risolversi in una boutade dalla quale può soltanto derivare una durissima reazione da parte dei magistrati – i quali, è bene sottolinearlo, non sono affatto una schifezza – e qualche conseguenza sotto il profilo penalistico. Ma tant’è: nei comizi, di cose se ne dicono tante e non tutte in modo appropriato.

Richiamerei, piuttosto, l’attenzione di chi legge sull’immediata reazione del Presidente della Suprema Corte di Cassazione e del Procuratore generale presso la stessa Corte. Matteo Salvini, sostengono, è un pericolo per la democrazia. Al di là dei toni – di certo più composti, ma politicamente molto impegnativi – sembra che i due magistrati più alti in grado della Repubblica abbiano inteso lanciare un messaggio, in parte condivisibile, in parte da valutare con attenzione.

Da condividere è la parte in cui viene stigmatizzata un’accusa formulata in termini inaccettabili sempre e comunque. Se leviamo gli scudi in difesa della intangibilità della dignità umana di chi si è macchiato del più efferato tra i crimini, non possiamo di certo tollerare l’offesa gratuita a chi appartiene ad un ordine che ha versato sangue per questo Paese. I magistrati italiani non sono una “schifezza”.

Questo non significa che i magistrati – e, aggiungo io, il loro operato, le loro decisioni, le loro iniziative – siano esenti da critiche. In un Paese democratico – si legge in alcune sentenze – la delicatezza delle funzioni svolte espone chi le esercita ad una critica più serrata di quella che può essere indirizzata verso il cosiddetto quivis e populo. Le sentenze, come talvolta dimentichiamo, sono pronunciate in nome del popolo – in nome di, ho detto: non, dal popolo come taluno vorrebbe – e, pertanto, sono soggette a critica e dissenso. Il Presidente della Suprema Corte di Cassazione, magistrato di valore e uomo di profondi pensieri, sa benissimo che, non da oggi, la Giustizia sconta un deficit di popolarità molto spesso tradottosi in aperta sfiducia. Si tratta di capire se la sfiducia colpisce le persone, ovvero i provvedimenti che le stesse pronunciano, ovvero, ancora, entrambe le cose.

Partiamo da alcune considerazioni elementari. Ci siamo appena lasciati alle spalle un ventennio dal quale non abbiamo ricavato che guasti. La contrapposizione personalistica tra l’ex Presidente del Consiglio dei ministri ed alcuni magistrati ha trasformato – erroneamente – in conflitto politico senza quartiere una questione che giaceva sul tavolo da molti anni e ha distolto l’attenzione di tutti dai temi delle riforme, dal problema del ruolo della magistratura in un sistema democratico, dalle conseguenze delle azioni giudiziarie. Il Paese, more solito, era diviso, nettamente, tra chi era pro e tra chi era contro. La situazione, dunque, era paralizzata da uno stallo dal quale era necessario uscire al più presto.

La fine della parabola berlusconiana ha liberato il campo da un fattore di perturbazione delle discussioni e ha permesso che si riprendesse di parlare di Giustizia in altro modo e – fino a domenica – con altri toni. Le questioni, tuttavia, non sono ancora state risolte. Prova ne sia che sabato scorso, partecipando all’’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario dei Penalisti Italiani, Giovanni Canzio ha sottolineato l’esigenza di un recupero di fiducia nella Giustizia. Allora, lasciatemi dire, il problema c’è: c’è ancora, Matteo Salvini o no, ed è un problema di equilibrio degli assetti democratici del paese e di corretto posizionamento dei diritti.

Salvini, oggi e (forse) suo malgrado, ci consente di dire che s’ode a destra uno squillo di tromba; ci induce a sperare che, prima o poi, potremo confrontarci dialetticamente e serenamente su un tema che disorienta gli italiani e che, ad oggi, resta profondamente divisivo. Io gli consiglierei una cosa, se posso permettermi: lasci perdere le battute ed inizi anche lei ad occuparsi di Giustizia in modo serio e concreto, senza offendere e con determinazione. Contribuisca anche lei a sciogliere alcuni nodi politici incalzando il Governo, i magistrati ed assumendo un ruolo politico vero, fatto di cose e non di parole. Si ricordi che definire “una schifezza” i magistrati non la porterà da nessuna parte e non aiuterà di certo la crescita democratica del Paese che le sta tanto a cuore. Noi delle Camere Penali queste cose le facciamo da sempre, senza distinguere tra questa o quella maggioranza di Governo, difendendo i diritti e criticando anche aspramente l’operato dei magistrati Italiani, ai quali, tuttavia, non rivolgeremo mai alcuna offesa. Venga ad ascoltare noi, insomma, per comprendere le ragioni di quel sentimento diffuso di sfiducia nella Giustizia e ad ascoltare le nostre ricette per porvi rimedio. Venga e ascolti quello che abbiamo da dire e poi scelga. Noi siamo qui, con idee precise e con un progetto definito, nel quale – per sua informazione – c’è anche spazio per l’abrogazione dei reati di opinione, come quello che lei potrebbe avere commesso evocando, a sproposito, concetti inappropriati e che la fanno definire – a torto – un pericolo per la democrazia.


di Mauro Anetrini