giovedì 18 febbraio 2016
Ma è lei o non è lei quella che si è assunta ogni responsabilità per la sconfitta al Senato? E che sarebbe sull’orlo di un abbandono del set politicante con le sue inimmaginabili sorprese, cambi di gabbana, voltafaccia di mentitori? È lei la senatrice che ha motivato il profondo disincanto per gli sbagli strategici compiuti? È lei o non è lei? Cerrrrto che è lei, la Monica Cirinnà; quella dell’omonima legge che è andata a sbattere contro il muro, dopo sequenze imperdibili di filmici cazzotti con gli uppercut del Partito Democratico indirizzati ai traditori grillini.
Nel film, in secondo piano, c’è un sardonico Angelino Alfano sulle cui labbra qualcuno è riuscito a leggere la sentenza: “Io ve l’avevo detto!”. Non si può non nutrire un certo trasporto di simpatica solidarietà per la Cirinnà, ma con qualche distinzione, anche a suo discarico. Quando lei parla di sbagli strategici compiuti, si riferisce soprattutto al tradimento dei pentastellati che hanno inferto il fatale “coup de poignard dans le dos”, la coltellata nella schiena al Pd. Certamente. Ma il colpo alle spalle presuppone un patto cosiddetto strategico basato su accordi stipulati e poi non rispettati.
Ma soffermiamoci sul termine “sbaglio strategico” citato dalla medesima Cirinnà: la strategia. Che non poteva essere farina del sacco della pur attiva senatrice, non perché non ne fosse all’altezza, ma per la semplice ragione che la bacchetta (magica) strategica era ed è del direttore dell’orchestra di Palazzo Chigi. Del Premier Matteo Renzi, onnipotente e onnisciente, ma non onnipresente (è in Argentina) ogni qual volta ci siano alle viste votazioni problematiche.
Dunque, lo stratega è stato indubitabilmente il Presidente del Consiglio dalla bulimica attività urbi et orbi come in un “gigantesco programma televisivo di cui si considera il presentatore unico, tutt’al più affiancato da una collaboratrice preparata e accudente”. E costei era ed è la Cirinnà. Una collaboratrice coraggiosa, ma pur sempre in secondo piano, dietro all’uomo solo al comando, al capo dall’aura invincibile, persino quando è stanco nel saliscendi da moto perpetuo su aerei in giro per il mondo. E sarebbe un insulto alle sue capacità di movimento ritenere che la strada scelta e avviata per le unioni civili provenisse da indicazioni altrui. La strategia renziana - ma era solo una tecnica - consisteva sostanzialmente in un accordo di ferro con il Movimento Cinque Stelle, non solo funzionale al cosiddetto “canguro scavalcante” ope legis i diaframmi frapposti, ma soprattutto fondato su un percorso di segno esattamente opposto alla strategia, e riassumibile nella leggendaria politica dei due forni, una tecnica sopraffina nella quale era imbattibile la gloriosa Democrazia cristiana.
Renzi si picca di essere uno stratega dall’occhio lungo. Ma questa vicenda ci racconta un’altra storia, del tutto tecnica e del tutto politicante, démodé, vintage. Non a caso lui, erede di una certa Dc, soprattutto fanfaniana, ha usato questa strada che consente di portare a casa risultati giocando su due fronti, accordandosi di volta in volta con pezzi dell’opposizione per prevenire i contrari nella propria maggioranza. Peccato che in questo caso il titolare del forno oppositorio, quel Beppe Grillo tonitruante e apodittico, ha usato l’altra faccia della tecnicalità democristiana che consiste nel doppiogiochismo simmetrico, ovvero farsi un baffo della sacralità del pacta sunt servanda, in politica, poi. Cosicché, anche Grillo ha fatto in fretta a cambiare l’abito, da minaccioso scoperchiatore di scatole di tonno parlamentare a “vecchio” democristiano in doppiopetto, da cui aspettarci altre sorprese. Per di più con l’ausilio marcato di un Gianroberto Casaleggio che sa applicare la regola assoluta del mercato della politica di oggi: business, as usual.
E che Renzi sia stato giocato da un duetto di nuovi impropri strateghi dati per vincenti a Roma - dove sarebbe in atto un complotto all’uopo, parole dell’oracolo Taverna - potrebbe anche costituire la prima, vistosa crepa nella parabola ascendente del Premier, peraltro ansimante nelle sabbie mobili europee, bancarie, finaziarie e quant’altro. Non è detto, infine, che lo stop a queste unioni civili sia, da un lato, la sconfitta di una buona legge e, dall’altro, la vittoria degli integralisti dentro il Pd e fuori, dall’Ncd in là. Questa volta sembra ai più, noi compresi, che lo stop sulla “Stepchild” sia il frutto del buon senso. Una strategia, questa sì, quasi sempre vincente. Si faccia dunque coraggio, la Cirinnà. E si ricordi: chi di due forni colpisce, di due forni...
di Paolo Pillitteri