A ciascuno le proprie responsabilità

giovedì 18 febbraio 2016


Al momento nessuno è in grado di stabilire se l’arresto del braccio destro di Roberto Maroni alla Regione Lombardia, Fabio Rizzi, sia un caso di giustizia ad orologeria. Cioè uno di quei casi in cui certa magistratura concretizza con arresti a grande rilevanza mediatica inchieste alla vigilia di campagne elettorali con l’intento, neppure troppo nascosto, di colpire la parte politica in cu militano gli inquisiti.

La reazione di Roberto Maroni e del leader della Lega, Matteo Salvini, non sembrano indirizzate a denunciare un fenomeno del genere, ma a prendere atto con stupore e sgomento di una vicenda in cui le eventuali responsabilità non possono essere attribuite alla Lega ma vanno considerate solo personali.

Se non lo fanno Maroni e Salvini non spetta di certo ad altri denunciare il caso Rizzi come un caso di giustizia ad orologeria. Ma non c’è bisogno di scendere nella polemica contingente per sollevare una questione che prescinde dalla vicenda contingente della sanità lombarda. Che succede se le accuse della Procura di Milano dovessero risultare infondate?

L’interrogativo non è peregrino. Perché di casi di giustizia ad orologeria sono piene le cronache degli ultimi vent’anni e perché le archiviazioni per totale infondatezza delle accuse e le assoluzioni seguite alle gogne mediatiche ed alle conseguenze elettorali negative si sprecano.

Se per accidente sfortunato il caso Rizzi dovesse risultare del tutto infondato, nessuno degli artefici dell’accusa infondata e della conseguente campagna mediatica di stampo giustizialista rischierebbe un bel nulla. Non subirebbero conseguenze i media che hanno condannato l’esponente leghista e la Lega tutta prima ancora di vedere celebrato il processo. Ed uscirebbero immacolati in nome dell’obbligatorietà dell’azione penale e dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura i Pm artefici dell’inchiesta sulla sanità.

Nel frattempo, però, Fabio Rizzi sarebbe stato espulso dalla Lega e dalla politica e la campagna leghista per le elezioni amministrative di fine primavera avrebbe subìto un colpo quasi mortale. È chiaro che così non si possa continuare. Perché se è fin troppo giusto che rubare i soldi pubblici comporti la galera e la sconfitta elettorale del partito in cui figurano i ladri, è altrettanto giusto che chi, magistrato o giornalista che sia, abbia compiuto errori ed abbia di fatto calunniato i presunti colpevoli provocandone la rovina pubblica e privata, debba assumersi la responsabilità dei propri errori ed essere messo a risposo per manifesta incapacità.

Se Matteo Renzi vuole sul serio ammantarsi della cappa di innovatore non può non intervenire su questo drammatico scandalo all’italiana.


di Arturo Diaconale