L’insostenibile pesantezza della stagnazione

sabato 19 dicembre 2015


Secondo tutti gli indicatori economici, anche il 2015 si chiuderà in maniera assai deludente rispetto alle strabilianti prospettive verso le quali saremmo dovuto essere proiettati dal “cambiamento di verso” renziano.

Tant’è che il sempre più imbarazzato ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, di fronte ai papaveri di Confindustria, onde giustificare una crescita da prefisso telefonico, se ne è uscito con una frase a dir poco sorprendente: “C’è una ripresa ma debole, non un’accelerazione, viviamo in un mondo post-recessione e io sono tra quelli che ritengono che l’ipotesi di stagnazione secolare non sia così peregrina”.

Ecco, ci mancava solo la stagnazione secolare per spiegare al Paese che, bene che vada, dopo anni di profonda recessione ci dovremmo accontentare del classico rimbalzo del gatto morto. Ora, sarà pure secolare questa presunta stagnazione globale, tuttavia forse al buon Padoan è sfuggito da molti lustri. L’Italia cresce, per così dire, ad un velocità dimezzata rispetto alla declinante Europa. Forse esiste qualcosa di profondamente endogeno che impedisce al nostro sistema economico di sviluppare secondo le proprie potenzialità. Questo qualcosa si chiama a mio avviso eccesso di Stato assistenziale e burocratico. Un eccesso che sul piano dei numeri bruti si sostanzia attraverso una spesa pubblica e una relativa tassazione giunti a livelli insostenibili per il Paese. Un vero cappio al collo per i settori produttivi che gli illusionismi ed i trucchi contabili dell’Esecutivo Renzi non hanno certamente allentato.

C’è poco da arrampicarsi sugli specchi di una presunta stagnazione secolare quando i costi proibitivi che il sistema pubblico impone sulla produzione di valore di mercato - l’unica che conta nella realtà fattuale - sono molto più alti rispetto ai nostri principali competitori internazionali. D’altro canto, lo abbiamo detto e scritto innumerevoli volte: per riportare l’Italia in carreggiata occorreva adottare una linea politica dolorosa e impopolare, finalizzata a ridurre i grandi capitoli di spesa di quello che l’amico Giannino ha brillantemente definito “Stato ladro”. Ma su questo piano Renzi, Padoan e soci hanno preferito puntare al facile consenso, evitando come la peste di sfiorare qualunque nodo strutturale e giocandosi il proprio futuro politico sulla linea Maginot dei vergognosi bonus, che tanto sanno di deficit-spending. Il risultato di ciò lo vediamo nell’amara realtà degli antipaticissimi numeri.


di Claudio Romiti