Lo Stato Islamico sull’uscio di casa

giovedì 3 dicembre 2015


La presenza dello Stato Islamico in Libia sta pericolosamente crescendo. Lo afferma un rapporto di esperti dell’Onu che segnala la presenza di 2-3mila combattenti del califfo Al-Baghdadi nella guerra civile in corso nel Paese del Nord Africa. Ma non è tutto. Nello stesso dossier è contenuta una previsione inquietante: la favorevole condizione libica avrebbe convinto i vertici dell’organizzazione fondamentalista a lasciare la Siria, dove subiscono la pressione dell’offensiva militare curdo-russa- francese, per mettere radici alle porte d’Europa.

Questa è la peggiore notizia che ci si poteva aspettare. Eppure, il governo italiano continua a fare finta di nulla. Bella roba, signor Matteo Renzi! È la nostra rovina che vuole? Con la sua tattica attendista potrà pure compiacere i suoi amici arabi del Golfo Persico, che non fanno salti di gioia all’idea di neutralizzare la minaccia jihadista, ma sta mettendo a rischio la sicurezza dei suoi concittadini. Se ne rende conto? In Libia, da qualche parte, giace l’arsenale missilistico che aveva assemblato il deposto Gheddafi. Non riusciamo a immaginare cosa accadrebbe se i tagliagole dovessero impadronirsene. Questa guerra all’Is va combattuta. Nascondere la verità agli italiani non serve a renderli più tranquilli. Al contrario, ciò che genera le peggiori ansie è proprio non conoscere come stiano realmente le cose. Bisogna dire con coraggio che la sistemazione della Libia passa, preventivamente, per l’annientamento dell’Is in Siria e in Iraq. Anche un personaggio tradizionalmente cauto, come Silvio Berlusconi, ha preso posizione per l’intervento militare in Siria. Dell’ex presidente del Consiglio tutto si può dire ma non che sia a digiuno di politica estera. Ora, se nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera il vecchio leone di Arcore si è sbilanciato dichiarando testualmente: “La prudenza nel combattere lo Stato Islamico… è una ambiguità che non ci possiamo permettere”, c’è da prenderlo molto sul serio.

Anche il nuovo inviato delle Nazioni Unite in Libia, Martin Kobler, ha detto senza mezzi termini: “L’Isis è la minaccia più grave", occorre fare presto “perché il pericolo cresce ogni giorno”. Allora cosa aspettiamo a prendere il toro per lo corna? Lei, presidente Renzi, continua a nascondersi dietro il pretesto della mancanza di una strategia politica per il “dopo”. Si preoccupi invece del “prima”, altrimenti non ci sarà nessun “dopo” di cui discutere. Di due cose può essere certo: l’Italia è un grande Paese e ha piena consapevolezza del suo ruolo nel mondo, anche se ciò comporta di prendere dei rischi impegnandosi militarmente fuori dai confini nazionali. Oggi siamo in Iraq con una missione di appoggio alle forze aeree alleate e di addestramento dell’esercito curdo. Non basta! Dobbiamo andare subito in Siria con un contingente aeronavale da schierare a fianco della Francia che ce lo ha chiesto e, al più presto, preparare “gli scarponi” da mettere a terra sul suolo siriano quando la coalizione sarà pronta a sferrare il colpo decisivo. Contestualmente, dobbiamo prendere l’iniziativa nella crisi libica senza aspettare che la situazione degeneri.

Questo è ciò che spetta di fare alla sesta potenza economica mondiale, come lei ama definire l’Italia in ogni salotto nel quale è invitato. Invece, le fonti di stampa riferiscono che il nostro premier abbia risposto ai partner occidentali promettendo la convocazione di un summit sulla questione libica da tenersi a Roma entro la fine dell’anno. Ma chi crede di prendere in giro, signor Renzi? Qui c’è da agire e lei pensa di cavarsela con la storiella della conferenza? Ma si rende conto di quanto sia offensiva per la nostra intelligenza la sua inettitudine? I napoletani dicono “Mentre 'o miedeco sturia, ‘o malato se ne more”. Ma gli italiani non sono gli ammalati del proverbio: disposti a tirare le cuoia per dare ragione alla sua codardia.


di Cristofaro Sola