martedì 15 settembre 2015
Ma è poi vero che l’Europa si appresta a diventare come gli Stati Uniti, terra d’immigrazione, dopo che per i prossimi vent’anni (il calcolo è dell’Amministrazione Usa) andrà avanti ai ritmi attuali il flusso di migranti provenienti dai paesi devastati dalle guerre civili e da quelli dove continuano a regnare povertà e disperazione? Oppure è vero il contrario. Cioè che l’Europa si appresta a rivivere l’esperienza già subita quando la sua parte occidentale era unita sotto l’Impero Romano e il suo livello di civiltà venne pima drasticamente ridotto e poi profondamente modificato dalle invasioni barbariche?
La prima ipotesi è totalmente fasulla. Le condizioni che hanno fatto degli Stati Uniti un paese multiculturale e multietnico sono totalmente diverse da quelle dell’Europa attuale. Tanto più che gli unici esempi di società multietniche e multirazziali presenti nella storia sono quelli con stati retti da sistemi e vocazioni imperiali. Sistemi e vocazioni che gli Stati Uniti hanno da sempre e che ne hanno fatto la prima potenza planetaria e che l’Europa non ha più da tempo, come insegnano le vicende di Francia, Gran Bretagna nel secondo dopoguerra e degli Imperi Centrali alla fine del primo conflitto mondiale.
Non siamo come l’America dei Padri Pellegrini o delle immigrazioni di irlandesi, tedeschi, italiani, polacchi e quant’altro dell’ottocento. Ma non siamo neppure alle nuove invasioni barbariche. Perché se è vero che l’unità europea è politicamente insistente e che lo spirito del tempo di cui buona parte del Vecchio Continente è pervaso è simile a quello dei sudditi dell’Imperatore Romolo Augustolo, non c’è nessun Odoacre alle porte ed esistono tutte le possibilità di gestire un fenomeno che solo se lasciato senza controllo può provocare effetti epocali e catastrofici.
La linea fissata dalla Cancelliera Merkel della distinzione tra profughi ed emigranti è un primo esempio di come si possa esercitare il controllo. Ma questa linea non è sufficiente. E, soprattutto, va adattata alle singole realtà europee. In Germania i profughi provenienti dalla Siria possono essere più facilmente integrati in quanto provenienti da un Paese che prima della guerra civile era comunque strutturato, secondo i canoni di una civiltà antica, in maniera moderna. I profughi siriani hanno istruzione e preparazione e possono essere più facilmente integrati in un paese che impone il rispetto delle proprie regole ai nuovi venuti. Non a caso la Merkel ha invece stabilito che gli emigranti da accogliere siano solo quelli a cui si può dare un lavoro. L’obiettivo è evitare che i meno acculturati, i meno preparati, i più difficilmente integrabili possano dare vita a ghetti dove coltivare, per mancanza di alternative, integralismo e criminalità.
In Italia è più difficile distinguere profughi da emigranti. Perché dai barconi non sbarcano persone mediamente istruite e preparate ma disperati che fuggono da paesi dove la violenza è intrecciata alla povertà. E che per essere integrati hanno bisogno di tempi lunghi (a meno che per integrazione non s’intenda l’impiego in nero nei campi) e di investimenti consistenti sulla loro preparazione.
Per gestire il fenomeno dovremmo fissare regole certe, comprensibili ed attuabili. Discutere di proposte, di progetti, di misure concrete. Invece il dibattito è polarizzato tra “bestie” e “umani”, tra chi allegramente ed irresponsabilmente teorizza il “più siamo, meglio stiamo” e di chi proclama l’esatto contrario.
Forse Odoacre è alle porte! Quelle solo nostre!
di Arturo Diaconale