giovedì 23 luglio 2015
Il 20 luglio, per la prima volta in mezzo secolo, la bandiera cubana è stata issata sul pennone dell’ambasciata di Cuba a Washington Dc. Il prossimo 14 agosto, sarà la bandiera americana ad essere issata sul pennone dell’ambasciata degli Usa a L’Avana. Le relazioni fra Stati Uniti e Cuba sono state pienamente ripristinate. Si è trattato dell’ultimo di una lunga serie di atti simbolici o concreti, a partire dalle visite ufficiali, dagli incontri bilaterali formali, fino al ripristino delle linee navali e aeree e la cancellazione di Cuba dalla lista nera degli Stati sponsor del terrorismo.
Ci sono abbastanza elementi per parlare di “fine della guerra fredda nei Caraibi”, paradossalmente proprio in un periodo in cui la “guerra fredda”, o qualcosa di molto simile, sta ricominciando in Europa. I due fenomeni sono probabilmente legati, anche se indirettamente e non dichiaratamente.
Barack Obama ha infatti tutto l’interesse ad avere una Cuba amica, nel momento in cui la Russia potrebbe sfruttare l’ostilità dell’isola per piazzarvi nuove basi. Ma sarebbe riduttivo leggere il dialogo Usa-Cuba solo nell’ottica della rinnovata contrapposizione fra i due blocchi. La fine dell’embargo e dell’isolamento dell’isola caraibica, infatti, è una delle principali promesse di Obama sin dalla sua campagna elettorale presidenziale del 2008. Dal punto di vista dei Democratici, il libero scambio e le normali relazioni diplomatiche possono contribuire a rendere più democratici anche i regimi più chiusi e totalitari. Questo era il punto di vista di Bill Clinton, che però non ha potuto fare molto per Cuba a causa dell’irrigidimento del regime castrista nel 1994 e della successiva strage dei transfughi, nel canale della Florida. Obama ha invece sfruttato un periodo di maggior rilassamento del regime dell’Avana e l’avvicendamento al potere da Fidel a Raul Castro per realizzare in pieno l’agenda democratica.
Funzionerà? Sarà veramente la caduta del “muro d’acqua”? Non ci sono molti precedenti, a dire il vero. Ma la fine della guerra fredda in Europa, nel 1989, è avvenuta solo grazie alla caduta dei regimi comunisti dell’Est. A Cuba, invece, il regime comunista locale non è affatto caduto, è in “buona salute” e non intende neppure riformarsi in senso democratico. Quel che ci possiamo attendere, d’ora in avanti, sarà al massimo una transizione da un sistema di tipo sovietico ad uno di stampo cinese: da un’economia pianificata ad una più libera, ma sempre sotto un regime autocratico e con in mano il controllo delle principali aziende.
Il precedente, semmai, viene creato dalla normalizzazione dei rapporti fra Usa e Cuba. Un regime ostile agli Stati Uniti, contrario ai loro valori democratici, oppressore dei diritti umani, dichiaratamente marxista-leninista anche fuori tempo massimo, non ha avuto alcun bisogno di riformarsi prima di riallacciare normali relazioni diplomatiche e commerciali con Washington. Ai fratelli Castro è bastato avere pazienza. Questa situazione, a Cuba, è vissuta come una grande vittoria dagli uomini del regime, mentre è una lacerante sconfitta per tutti quei dissidenti che sono fuggiti all’estero nel corso di una lotta durata cinque decenni. La loro denuncia, il loro esempio personale, il coraggio con cui hanno affrontato le peggiori persecuzioni e umiliazioni, viene “ripagato” dai sorrisi di Obama al dittatore Raul Castro.
di Stefano Magni