Spese militari di Atene: si raccontano frottole

sabato 11 luglio 2015


Una delle pietre d’inciampo del negoziato tra Atene e Bruxelles riguarda l’ammontare delle spese militari sostenuto dalla Grecia e che l’Europa vorrebbe vedere drasticamente ridimensionato. In teoria sembrerebbe una richiesta ragionevole ma nella sostanza non lo è. Facciamo un passo indietro.

La Grecia ha comprato armi, nel periodo 2010-2014 quando ad Atene c’erano già i cani da guardia della Troika, per 551 milioni di dollari dalla Germania e 136 milioni dalla Francia. Come mai nessuno se n’è accorto? Il Wall Street Journal, nel 2010, aveva ipotizzato un collegamento tra l’acquisto massiccio di navi, elicotteri, carri armati, sottomarini e lo sblocco degli aiuti economici da parte della Ue. Poiché non furono trovate prove della combine, se non le parole dell’allora vice primo ministro greco, Theodoros Pangalos, che nel corso di una visita ufficiale ad Atene del premier turco Recep Tayyp Erdoğan aveva candidamente ammesso di essere stati costretti a comprare armi di cui non avevano bisogno, la denuncia cadde nel vuoto.

Ma non era la prima volta che i greci facevano shopping a Berlino e a Parigi. Già tra il 2004 e il 2009, l’allora premier Kostas Karamanlis acquistò dalla Germania 170 panzer Leopard - valore 1,7 miliardi di euro - nonché 223 cannoni dismessi dall’esercito tedesco. Poi fu la volta di 6 sottomarini, fabbricati dalla ThyssenKrupp, azienda renana ben nota alle procure italiane, che però risultarono difettosi. Dopo un faticoso negoziato, nel 2011 il premier George Papandreou, subentrato a Karamanlis, chiuse un accordo con Berlino in base al quale la Grecia si impegnava ad acquistare soltanto due sommergibili al prezzo di 1,3 miliardi di euro, con l’aggiunta di altri 223 carri armati panzer per 443 milioni di euro.

Oggi sono proprio Berlino e Parigi a gridare allo scandalo per i troppi denari spesi da Atene in armamenti. Che ipocrisia! È come se una banda di spacciatori facesse la morale a un “tossico” sulla nocività della droga dopo che gli ha venduto sotto ricatto e a caro prezzo quantità industriali di stupefacenti. Tuttavia, di là dal legittimo disgusto, resta la questione di fondo dell’atteggiamento che questa Europa intende avere sulle problematiche legate alla sua difesa. Non è soltanto sui Greci che si è fatto pressione per una drastica riduzione delle spese militari. All’Italia è accaduta la stessa cosa. Il criterio di stima adottato in sede europea è come sempre ragionieristico. Il capitolo delle spese militari è rapportato all’andamento del Pil. La media europea aggiornata è del 1,6 per cento. Attualmente quella greca è stata abbassata al 2,2 per cento. Secondo i dati forniti dall’IISS (International Institute for Strategic Studies) nel 2013 l’Italia avrebbe messo in bilancio 25 miliardi di dollari per la Difesa, dai quali vanno detratti i fondi destinati ai compiti di ordine pubblico e di polizia giudiziaria dei carabinieri. Il ché riduce l’ammontare appostato a 19 miliardi, pari all’1,2 per cento del Pil. La tendenza per gli anni successivi segna un contenimento ulteriore della spesa.

Ora, bisogna chiedersi se una politica di tagli tanto severa sia compatibile con la necessità di un adeguamento strategico ai nuovi scenari geopolitici. I risparmi più consistenti riguarderanno l’ammodernamento e la manutenzione dei sistemi d’arma, il munizionamento e la formazione del personale. Visto che siamo al redde rationem con Atene, chiediamoci se sia salutare per la nostra sicurezza procedere sulla strada di un progressivo disarmo unilaterale. Quando, per stare ai diktat di Bruxelles, non saremo più in grado di difenderci, chi lo farà per noi? La potente Germania che sta programmando per il 2016 di aumentare le spese militari al 2 per cento del suo robusto Prodotto interno lordo? E così, come si dice nei passeggi trasteverini: “Stamo da capo a dodici”.


di Cristofaro Sola